Il 18 febbraio 1915, a Firenze, moriva il calabrese Costantino Arlìa. Nella vita era stato magistrato di professione e filologo per passione. Tra le sue pubblicazioni più note, il “Lessico dell’infima e corrotta italianità” che scrisse insieme a Pietro Fanfani. La competenza filologica e lessicografica acquisita, nonché le numerose pubblicazioni a tema, fecero dell’Arlìa un autorevole linguista, tanto da essere chiamato a far parte dell’Accademia della Crusca. A lui, per esempio, si deve l’introduzione, nel 1902, di un termine di grande fortuna come “pubblicità” al posto del francese “recláme”.
Per il centenario della morte, che sarà appunto nel febbraio del prossimo anno, avevamo espresso, tempo addietro, l’auspicio che venisse celebrata la ricorrenza con un convegno, che fosse magari ripubblicata qualche sua opera, o che fosse oggetto di studio nelle Università. Ma al momento, questo letterato non sembra interessare più di tanto. A parte l’intitolazione dell’Istituto Comprensivo di Aiello Calabro (Cs), databile a qualche decennio fa, il filologo meriterebbe infatti di essere meglio conosciuto. In attesa di tempi migliori, ne tracciamo un profilo della vita e della sua opera di italianista.
Nato il 23 agosto 1828, e battezzato il 24 dalla levatrice Grazia Casanova che lo aveva trovato nei pressi di una frazione di Ajello Calabro (Cs) – come per primo riporta lo storico Rocco Liberti - il trovatello fu poi riconosciuto legalmente dal padre naturale, il “cerusico” Bonaventura Arlìa di Amantea, solo nel 1836.
La formazione scolastica inizia nel seminario di Tropea, nella cui Diocesi erano compresi all’epoca sia Aiello che Amantea. In seguito, dopo un periodo di studio da autodidatta, si trasferirà a Napoli, dove si laurea in Giurisprudenza. È il 1861 quando inizia la carriera in magistratura come Procuratore del Re presso il Tribunale di Ivrea. Da qui andrà a Torino come capo sezione al Ministero di Grazia e Giustizia; e poi a Roma. Nel 1890 si dimette per motivi di salute dall’incarico ministeriale di direttore della seconda divisione e subito dopo, nel febbraio 1891, si trasferirà a Firenze, assieme alla compagna Giuseppina Massaglia. Con quest’ultima si sposerà nella città del Giglio, ormai avanti con gli anni, il 4 febbraio 1906. E qui, nel capoluogo toscano, Costantino Arlìa passa a miglior vita nella sua casa di via S. Gallo 81, per una emorragia cerebrale, il 18 febbraio del 1915. «L'ultimo periodo della sua lunga vita (morì a 86 anni) – si legge nel necrologio pubblicato sul «Giornale storico della letteratura italiana» – venne funestato dalla cecità, ma egli sopportò con stoicismo la sua sventura, consolando le tenebre da cui era avvolto con le luci sempre vivide della memoria e dell'intelletto». Fu, il Nostro, secondo l’anonimo estensore, «editore e annotatore amoroso e sagace», sebbene non «un letterato di professione, ma ciò non tolse che egli amasse e studiasse le lettere nostre con vera e instancabile passione».
La purezza linguistica fu per l’A. tra le sue più vive preoccupazioni e passioni. Tanto che, come riferisce la voce a lui dedicata nel Dizionario Biografico degli Italiani ad opera di Luigi Lerro, il Carducci lo definì “puntiglioso linguaiolo”, una descrizione che il poeta aveva già usato anche per il Fanfani.
L’intento che aveva mosso i due filologi (Fanfani e Arlìa) nella compilazione del Lessico dell'Infima e corrotta italianità (Carrara, Milano 1877), l’opera più famosa, è più volte ribadito: solo in rare eccezioni si possono accogliere nuove parole straniere. Ma il ruolo che scelgono è quello di “consiglieri”, e non già di despoti, nel dire quello che si può o non si può dire, nell’italiano.
Molti suoi manoscritti, per quanto prima di morire avesse predisposto che fossero bruciati, si trovano nell’Istituto Lombardo dell’Accademia di Scienze e Lettere, alla Biblioteca Marucelliana di Firenze, dove è custodito il carteggio Arlìa (908 lettere comprese tra il 1871 e il 1905), acquisito nel 1915 per acquisto dalla libreria Lumachi, e diverse lettere di Chiaro Chiari e di Pietro Fanfani, donate nel 1936. Altre lettere, come il carteggio Bongi, sono all’Archivio di Stato di Lucca; mentre all’archivio storico della Crusca è conservata tutta la documentazione prodotta dallo studioso.
Una gran mole documentale ancora da esaminare, dunque, assieme alle altre notizie biografiche ancora incomplete e da verificare, che aspettano di essere oggetto di ulteriori studi.
Le pubblicazioni. Tra le sue opere possiamo menzionare: il noto Lessico dell'Infima e corrotta italianità, pubblicato a Milano per la prima volta nel 1877 (altre edizioni sono del 1881, 1890 e 1898) per i tipi della Casa Edizioni Paolo Carrara; Del linguaggio degli artigiani fiorentini del 1876; Giunte al Lessico dell’infima e corrotta italianità del 1884 e 1896 (Carrara editore, Milano); Filologia spicciola (Firenze, 1889); Note filologiche, 1891-1892; il Dizionario bibliografico, pubblicato a Milano fra i manuali Hoepli nel 1892, che è una raccolta di locuzioni e voci del linguaggio bibliografico; Voci e maniere di lingua viva (Milano, 1895); Il parlare degli artigiani fiorentini, Milano, 1896; Ruscelleide di Vincenzo Borghini, Note raccolte da Costantino Arlìa, 1898; Passatempi filologici (Novelle e bozzetti), Roma, Albrighi e Segati, 1903; Storia d'un libro, Treviso, 1904. I suoi studi filologici comprendono anche testi di Machiavelli, del Capperone, Borghini, Cecchi, Curzio da Marignola, Malatesti ecc.
Pubblicò, oltre ad alcune novelle, pure diverse raccolte di versi, originali e traduzioni. Ecco alcuni titoli: Sonetto, in raccolta Per le nozze di Domenico De Palco e Teresina Nobile, Napoli, Stab. Tip. Di G. Nobile, 1854; Canti calabresi, Il passatempo, 15 novembre e 1 dic. 1864 (canti d’amore con versione italiana); Rose e viole (Canti e leggende popolari di varie nazioni, raccolte e tradotte), Tip. G. Favale e Comp., 1865; La novella di Geta e Birria riprodotta da un’antica, Bologna, Romagnoli, 1879; Le nozze del Diavolo: novella di G. B. Fagiuoli, Bologna 1886; La via dello infame aretino, Editore S. Lapi, Città di Castello, a cura di C. Arlìa.
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