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Stefano De Vito l'ultimo dei brigantiStefano De Vito, l’ultimo dei briganti sul Tg3 regionale della Calabria di Rino Muoio
Osservando i suoi tratti somatici tutto sembra tornare. Il suo viso incarna la classica figura dell’”uomo di rispetto”, intelligente, coraggioso e di grande dignità. La sua altezza (1,95 cm) e il suo portamento fanno da contorno ad una figura che è incredibilmente sovrapponibile a quella che, nell’immaginario collettivo, riporta al mafioso. Ma, in verità, lui mafioso non lo è mai stato, e lo si comprende conoscendo la sua storia, avvincente e per certi versi affascinante, che invece lo ha portato ad essere considerato “brigante”, forse l’ultimo dei “briganti” calabresi. Stefano De Vito, nato a Vibo nel Marzo 1923, sesto figlio di una famiglia numerosa, è stato infatti persona determinata contro le ingiustizie terrene, quanto pronta alla lotta e alla reazione, anche la più estrema. La sua esistenza è stata un alternarsi di vicende incredibili, che trovano terreno comune proprio in quel coraggio e in quell’idea di giustizia che lo hanno animato fin da ragazzo. Comportamenti discutibili, certo, ma autentici e intrisi di un altruismo profondo. Il suo peregrinare tra carcere e libertà, non a caso, trova radici in una storia d’amore, clandestina e contrastata. Lo abbiamo incontrato, dopo aver letto il libro che descrive la sua esistenza, scritto da Antonio Coltellaro (La vita di Stefano – Brigante calabrese), in una giornata uggiosa, tra Campora, Lago e Aiello Calabro, assieme a Santi Triboli, collega della Rai (il servizio è andato in onda sabato 10 novembre 2007, alle 12,25 su Tg3 Calabria). E’ stato di una disponibilità disarmante, visibilmente voglioso di raccontarci tutto, di far sapere al mondo la sua straordinaria storia di brigante. “Ho conosciuto a Lago - ci ha riferito - quella che, successivamente, sarebbe diventata mia moglie”. Ma il suo primo incontro con le patrie galere arriva nel 1943, quando, insofferente alla disciplina militare, abbandona la caserma. Denunciato e condannato come disertore, subisce il carcere per qualche mese. Il successivo incorporamento in Aeronautica, lo portò ad essere a Crotone durante uno dei più cruenti bombardamenti avvenuti in quel periodo. Fu ferito e curato presso l’ospedale di Senigallia. E proprio qualche ora dopo le dimissioni, va incontro al primo evento drammatico della sua vita, quando, nell’entrare in stazione, si accorge che due tedeschi stanno per rapire una giovane ragazza del luogo. Mosso dal suo innato senso di giustizia e di rispetto verso le donne, interviene, intimando con la propria arma ai due militari di lasciare la giovane. Cosa che puntualmente avviene. Da quel momento, per Stefano De Vito, inizia un periodo caratterizzato dalla latitanza e dai conflitti a fuoco con i carabinieri. All’ennesima diserzione e successiva condanna, decide di passare dalla parte dei partigiani dove si distingue per coraggio e sprezzo del pericolo. Ma l’episodio determinante per la sua vita è stato quello che lo ha visto perdutamente legato ad una donna, Fiorina, di Amantea, che descrive bellissima ed austera. L’amore lo costringe, a seguito di un’imboscata tesagli, con il supporto della madre di lei, che la voleva sposa ad altro, a rispondere al fuoco del pretendente e dei suoi “compari”. Uccise per la prima volta, per amore e legittima difesa, dunque. I due anni di latitanza tra i monti dell’entroterra del Tirreno cosentino lo portarono a compiere gesti di grande generosità, a vantaggio dei deboli. E proprio in quel periodo matura tutta la sua rabbia contro le forze dell’ordine e la giustizia, “che non seppero riconoscermi innocente”, afferma. Fu poi catturato “u zu Stefano”, come oramai viene chiamato in paese, condannato e tradotto in numerose carceri italiane, dove venne detenuto quasi sempre in isolamento. Ma fu nel carcere di Procida a incontrare l’uomo che poi sarebbe diventato papa Benedetto XVI. “Faceva il cappellano, ed era davvero un uomo di grande comprensione e disponibilità – ci ha raccontato. Moltissime volte intervenne per migliorare le nostre tragiche condizioni, ma mai potevo pensare che un giorno l’avrei visto alla guida della Chiesa”. Stefano De Vito ha collezionato oltre 23 anni di carcere. Le sue gesta fecero il giro dell’Italia. Persino il boss Badalamenti lo aveva cercato, colpito dal suo coraggio e dalla sua tenacia. “Mi voleva con lui, ma io rifiutai. Non mi sono mai sentito un mafioso, ma un brigante e un uomo d’onore si. In fondo non ho mai amato la violenza”. Dopo alcuni anni trascorsi a Milano, dove ha anche fatto il guardiano notturno per il grande Mariolino Corso, ora vive ad Aiello Calabro, “u zu Stefano”. La moglie è deceduta qualche anno addietro e con i figli non ha oramai più contatti. “Non è facile per un uomo come me, abituato a vivere tra le montagne, tra mille pericoli ma anche grandi emozioni, accettare la vecchiaia. Ma io mi sono abituato. Qui le persone mi vogliono bene e mi dimostrano rispetto. Come del resto è sempre stato - ci ha detto nel congedarsi - perché la gente è molto, molto più saggia della giustizia”. Tratto da Il Quotidiano della Calabria del 10.11.07, pag. 52 11/11/2007 |
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