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L'assedio di V.Segreti

L’ANNIVERSARIO

I 200 anni dell’assedio di Amantea in un libro del giornalista Vincenzo Segreti

IL 6 FEBBRAIO di 200 anni fa, Amantea si arrendeva, dopo aver respinto altri assalti, al lungo assedio francese, iniziato dal generale Verdier nell’estate del 1806. Ancora oggi sulla casa di Contrada Rota – che è Monumento nazionale - dove è stato firmato l’armistizio tra Ridolfo Mirabelli, comandante della piazza di Amantea ed il generale napoleonico Luigi Peyri si legge: “I condottieri dei soldati di Francia di tutti gli eserciti d’Europa trionfatori qui convennero a trattare la resa coi fieri difensori dell’espugnata Amantea che, con poche logore armi penuria di mezzi lungo e glorioso assedio sostenne, formidabili assalti respinse per la seconda volta fulgente dei secoli esempio di civile eroismo d’antica e tenace volontà ai suoi Re”.

La città, che nel 1799 aveva aderito alla Repubblica partenopea il cui governo però, non appoggiato dalla popolazione, durò solo 20 giorni, era stata riconquistata nuovamente dai francesi nella primavera del 1806, sino a quando la reazione borboniana, guidata da Michele Pezza, il celebre Fra Diavolo, non ebbe la meglio. Da allora Amantea, con a capo il luogotenente di giustizia Domenico Cavallo e il luogotenente delle armi Ridolfo Mirabelli, comincia la resistenza alle truppe napoleoniche posizionate sulle colline circostanti alla città. Da una parte i napoleonici con 3 mila e più soldati; dall’altra i soldati borbonici con le cosiddette bande dei capimassa Centanni, Perciavalle, Panedigrano, Alice ed altri. Quattro gli attacchi: il 27 settembre 1806, il 6 dicembre, tra il 7 e l’8 dello stesso mese; e quello dell’offensiva finale del 5 febbraio. Verdier, al comando di più di 3 mila uomini e “con l’ausilio di una micidiale artiglieria”, alla fine, dopo aver fatto scoppiare una potente bomba a Vico cannone che crea un varco nelle mura del castello, riesce a vincere l’orgoglio amanteota. Sul campo sono rimasti, secondo alcuni, circa 600 francesi; e la popolazione locale, da 2500 abitanti passa a 800 anime; “molte le case abbattute dal cannone; le contrade date alle fiamme”.

Il periodo storico in questione è oggetto di un breve quanto interessante saggio del giornalista e studioso di cultura calabrese Vincenzo Segreti, pubblicato di recente da Orizzonti Meridionali. Il libro “Amantea fra fine ‘700 e inizi ‘800” (con prefazione di Giulio Palange e postfazione di Francesco C. Volpe) - concepito, come avverte lo stesso autore, in occasione del 200° anniversario dell’assedio di Amantea (le cui vicende peraltro sono state raccontate, per esemio, nel romanzo di Nicola Misasi del 1893, e analizzate da uno studio del 1911 dell’Ufficio storico dello Stato Maggiore Italiano), con scopi essenzialmente divulgativi e con l’intento “di cogliere le peculiarità di un periodo importante e controverso delle vicende amanteane” -, ripercorre, con l’ausilio anche di documentazione inedita, le varie vicende vissute dalla città, nell’arco di tempo che va dal 1799 al 1807.

Nel saggio, l’autore – oltre a descrivere le varie fasi del movimento rivoluzionario, della reazione sanfedista, ed in particolare, delle fasi dell’assedio e tratteggiare il periodo posteriore in cui Amantea vive momenti di rappresaglie e discordie tra le diverse fazioni - non manca di delineare, nelle note, alcune delle figure di primo piano, di natali amanteani, protagonisti di questa pagina di storia locale. Come per esempio quella del colonnello Luigi Amato e del tenente Gaspare Cozza, appartenenti all’esercito napoleonico; del giureconsulto Francesco Antonio Meliarca, e dello stesso Ridolfo Mirabelli, invece “fedele a re Ferdinando fino alla morte”. Di fronte alle tesi contrapposte: da una parte quella che voleva la “magnifica epopea di un popolo in difesa della propria civiltà e religione contro i francesi”; e dall’altra invece quella della storiografia filofrancese che riteneva la Repubblica Partenopea e poi la presa del napoleonici del Regno di Napoli una liberazione dalla tirannide e l’inizio di un’epoca di progresso civile e di rinascita”, Vincenzo Segreti sostiene che “il legittimismo degli amanteani culmina, durante l’assedio, in una esplosione, a lungo covata, dell’istintiva ribellione del popolo allo straniero, ritenuto oppressore delle libere istituzioni municipali e violatore di altari. Non bisogna dimenticare – spiega – che, da generazione in generazione, la Calabria fu terra di conquista, che ha sempre mal sopportato il giogo della varie dominazioni, apportatrici quasi sempre di rovine e di arretratezza”.

Bruno Pino
11/02/2007
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