Un reportage sconvolgente di Biagio Simonetta che racconta la Calabria scaricata
Ad Aiello Calabro i rifiuti della Jolly Rosso e il Cesio 137, come a Chernobyl
giovedì 6 settembre 2009
di BIAGIO SIMONETTA
AIELLO CALABRO (COSENZA) - Avvelenare le terre è un business. Ci guadagnano i clan, le grandi industrie del Nord est, le imprese. Un giro di danaro difficile da quantificare. «Non basta una finanziaria per spiegare i soldi che ci sono dietro questi traffici. Un traffico che è più remunerativo anche della droga» ha svelato ad ottobre un ex boss della ’ndrangheta.
Miliardi di euro che puzzano di morte. Nei luoghi sporcati ci si ammala di cancro con frequenze allarmanti, dicono le statistiche. I colossi industriali smaltiscono radioattività attraverso i camion della Santa, la ’ndrangheta. Il costo di mercato per smaltire legalmente i rifiuti tossici va dai 21 ai 62 centesimi al chilo. I clan, come accertato da recenti inchieste, forniscono lo stesso servizio a 9 o 10 centesimi. Un risparmio abissale. ’Ndrangheta e Camorra avvelenano i loro posti. Insabbiano. Le particelle radioattive fanno il resto: alterano l’aria, intossicano le falde acquifere. Ammalarsi è maledettamente facile. La gola graffia, si arrossa, non passa. Poi, calabresi e campani si fanno compagnia nei grandi ospedali del Nord, la terra che ha prodotto il loro male e che adesso è speranza, chemioterapie, letti d’ospedale, morti lontane. Aiello Calabro è una bomboniera arrampicata sulle rocce. Un borgo di 2000 anime vessato da un calo demografico inevitabile. Un tempo, qui, l’artigianato era passione e cultura. Sta sparendo anche quello.
Scendendo verso il mare la Provinciale 153 costeggia il fiume Olivo. D’inverno, quando le piogge dissetano questo posto, la piena trascina con sé ogni granello di vita. Adesso, estate torrida, l’Olivo è un piccolo canale che si muove a stento. Pigro.
Percorrendo la 153, a pochi chilometri dalla costa, il fiume attraversa un falsopiano dagli orizzonti che brillano. C’è una galleria che sa di nuovo. Con una bomboletta di vernice, qualcuno ha dichiarato il suo amore: “Ho voglia di te”.
Le rocce si inerpicano quasi per incanto. Grossi massi osservano minacciosi la vita che scorre di fianco al fiume. Sulla montagna il cimitero di Serra d’Aiello pare vegliare con eterna quiete. Aiello Calabro è dall’altra parte, più a nord. E’ il fiume a delimitare i territori comunali, come spesso accade in Calabria.
Questo posto lo chiamano “Valle del Signore”. Un nome beffardo per una terra ammalata di radioattività. E’ qui che vent’anni fa, secondo le indagini condotte dalla Procura di Paola, sarebbero stati seppelliti i fusti radioattivi della Jolly Rosso. La motonave arenò sulla costa tirrenica a qualche chilometro di distanza. Poi, qualcuno avrebbe trasportato i grandi barili di metallo sul greto dell’Olivo nascondendoli per sempre. Nel 1990 la provinciale 153 non c’era. Da Aiello si poteva scendere al mare da Lago o da una vecchia strada sterrata che passa vicino al fiume. In pochi la percorrevano. Una decina d’auto al giorno. Il posto era pressoché deserto. Abbandonare fusti radioattivi non doveva essere poi così difficile.
Passeggiando di fianco all’Olivo l’aria diventa quasi rarefatta. Il caldo del primo giorno di settembre è soffocante, il sole alto di mezzogiorno stordisce e confonde i colori. Il sudore bagna le tempie e finisce al suolo. Terra secca.
Le analisi condotte a più riprese dagli esperti hanno confermato che la superficie intorno diffonde un tasso radioattivo fuori dal normale. C’è il Cesio 137, un isotopo mortale. Lo ha stabilito una spettrometria portata a termine dall’Arpacal. Il Cesio è prodotto dalla detonazione di armi o centrali nucleari. L’esplosione di Chernobyl ne produsse un’enorme quantità. Ma Chernobyl è a migliaia di chilometri da qui, e la Calabria non conosce il nucleare. Come quest’isotopo sia finito nella “Valle del Signore” è tutto da stabilire. Ma c’è.
Per adesso, pare certa l’incidenza di mortalità per patologie oncologiche superiore al normale. Lo ha confermato il procuratore di Paola, Bruno Giordano, che sta cercando di fare chiarezza sul mistero del torrente. E proprio da una perizia prodotta dalla procura «si conferma l’esistenza di un pericolo attuale per la popolazione residente nei comuni di Amantea, Serra d’Aiello e San Pietro in Amantea, circostante al letto del fiume Oliva a sud della località Foresta (centri di Campora San Giovanni, Coreca e case sparse comprese tra il mare e la località Foresta) dovuto alla presenza di contaminanti ambientali capaci di indurre patologie tumorali e non».
Il sindaco di Aiello Calabro si chiama Franco Iacucci. La prima volta che venne eletto la nazionale azzurra era allenata da Bearzot. Fa l’amministratore con passione. Ha un attimo per tutti. Sorrisi e pacche sulle spalle. Ci aspetta in Comune di buon mattino. Con le sue Hogan blu va da una stanza all’altra senza soste. Il telefono squilla in continuazione dalla sera prima: «Il servizio del Tg1 ha alimentato molte preoccupazioni. Mi stanno chiamato tanti aiellesi emigrati al nord, vogliono capire cos’è successo».
Già, cos’è successo. Iacucci vorrebbe saperlo anche lui. «Questa storia della radioattività è preoccupante. Non so rispondere ai miei cittadini che mi chiedono cosa c’è di vero. Adesso chiederò un incontro al Procuratore Giordano perché sono convinto che il raccordo istituzionale, in questi casi, sia fondamentale. Qui nessuno vuole nascondere niente. Va ricercata la verità e vanno prese le misure del caso. Se quel posto è radioattivo deve essere chiarito per iniziare un’importante opera di bonifica».
Intanto la vita scorre lenta nelle partite a carte, al tavolo del bar. Fra rassegnazione e paura nessuno sa qual è la verità. La valle avvelenata che porta al mare dorme quasi intontita dagli ultimi caldi. Le auto sfrecciano sulla provinciale, anabbaglianti e radio accese. Mentre gli atomi di Cesio danzano sul fiume invisibili e mortali. Vita quotidiana che ha un solo urgente bisogno: verità.
già pubblicato sul Quotidiano della Calabria del 2/9/2009