di Riccardo Bocca
Adesso la gente parla, in Calabria. Trova il coraggio di alzare la testa e confidare alla magistratura quello che ha visto e taciuto per tanti anni sul traffico dei rifiuti tossici o radioattivi. La spinta finale è arrivata lo scorso 12 settembre, con la scoperta sui fondali cosentini di un mercantile carico di misteriosi bidoni. Dettaglio inquietante: a consentire l'individuazione della nave è stato l'ex boss della 'ndrangheta Francesco Fonti, che dal 2005 si autoaccusa di averla fatta sprofondare al largo di Cetraro con un carico di scorie nocive. «L'imbarcazione c'è, i bidoni anche, eppure nessuno si sta attivando per recuperarli», denuncia l'assessore regionale all'Ambiente Silvio Greco. Da qui parte la rivolta della popolazione. Che quando gira la testa, e guarda dal mare verso la collina, trova ulteriori cause di inquietudine. Nell'entroterra di Amantea, infatti, dietro la spiaggia di Formiciche dove nel 1990 si è arenata tra mille polemiche la motonave Rosso (il dubbio, mai provato, è che trasportasse pattumiera tossica, poi smaltita a terra), le statistiche indicano l'aumento delle patologie tumorali. Non a caso: tra i comuni di Aiello Calabro e Serra d'Aiello, i tecnici hanno riscontrato picchi di radioattività (cava di Petrone) e presenza di sostanze altamente tossiche (località Foresta e fiume Oliva).
A questo punto la gente è furiosa, oltre che spaventata. E comincia a ribellarsi, sfidando i poteri mafio-massonici che regnano sulla costa tirrenica. Lo ha fatto, lo scorso 12 ottobre, Anna C., una contadina che ha svelato agli inquirenti il suo segreto: «Dopo lo spiaggiamento della motonave Rosso», ha dichiarato, «ho visto andando al lavoro in località Foresta, dentro una depressione sul lato destro della mulattiera lungo il fiume Oliva, alcune decine di fusti depositati».
Non si trattava di piccoli contenitori: ne è sicura, la donna, malgrado il tempo trascorso. Erano bidoni «di grosse dimensioni, con cerchi di rinforzo, in tutto tre per fusto: al centro e due all'estremità». Tutti di colore grigio e nuovi, buttati alla rinfusa, ad eccezione della prima fila dov'erano «bene allineati».
Un racconto che ha colpito, molto, gli uomini della Procura di Paola. Sia per la precisione del luogo e dei dettagli riferiti, sia perché la signora non era sola, quel giorno degli anni Novanta. Con lei, ha spiegato agli inquirenti, c'era l'amica Gilda C., la quale ha confermato in seguito ogni dettaglio. Di più: ha specificato che, accanto a quelle «decine di fusti», lei e la signora Anna hanno trovato una persona sconosciuta. Un uomo al quale si sono rivolte per capire cosa ci facesse, quella distesa di bidoni, vicino al fiume; e per tutta risposta si sono sentite dire che, all'interno dei bidoni, c'era «catrame per realizzare una strada». Quale, ancora oggi, nessuno è in grado di indicarlo.
Basterà l'esempio di queste testimonianze, a smuoverne altre? Ci saranno, al più presto, riscontri sul territorio? «Posso soltanto confermare che l'esasperazione sta sbloccando la memoria di molti cittadini», dice Bruno Giordano, procuratore capo a Paola. Ma ciò non significa che tutto fili liscio: al contrario traffico dei rifiuti, in Calabria le anomalie si stanno moltiplicando. A partire proprio da Foresta, dove le contadine hanno visto i bidoni. «Di recente, il comune di Serra d'Aiello ha avviato i rilievi per bonificare l'area», riferisce un tecnico. Ed ecco che, immediatamente, sono spuntate le stranezze. «Quando l'Arpacal (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente, ndr) ha ricevuto i risultati, ha scoperto che invece di inserire gli esiti delle analisi nella colonna "A", riservata alle zone verdi, qualcuno li aveva inseriti nella fascia "B": quella per aree industriali e commerciali, che ovviamente ha parametri più alti». Una maniera spiccia, secondo il tecnico, «per fingere che i valori fossero a norma». Mentre non lo sono: affatto. Inutile stupirsi, con tali premesse, se si dovrà penare per ottenere brandelli di verità. E altrettanto inutile è domandarsi, come sta facendo qualche magistrato, se la spaccatura delle indagini (parte mare alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, parte terra alla procura di Paola) rallenterà le verifiche. «L'importante è non mollare, non cedere all'amarezza e pretendere il massimo impegno dalle istituzioni», dice Granfranco Posa, portavoce del comitato civico Natale De Grazia (dedicato al capitano di corvetta morto, in circostanze sospette, mentre indagava sulle navi dei veleni). Per questo, sabato 24 ottobre, con il sostegno del Wwf e di altre associazioni ambientaliste, si svolgerà ad Amantea una manifestazione titolata "Riprendiamoci la vita, vogliamo una Calabria pulita!". E tra gli altri, a chiedere sul lungomare giustizia e trasparenza, ci sarà la ventinovenneTeresa Bruno, una studentessa di Economia sentita il 5 ottobre scorso dai magistrati di Paola. Una presenza tutt'altro che secondaria. Anche lei, infatti, nata e vissuta sulla collina accanto al fiume Oliva, ha visto qualcosa di anomalo nella campagna di Foresta. E lo racconta in esclusiva a "L'espresso", dopo averne parlato con il comitato De Grazia e Legambiente. «È successo tra il 1991 e il 1992», spiega: «Passeggiavo con mio padre e il mio fratellino lungo la briglia dell'Oliva, quando ho notato nella vegetazione una macchia blu». Erano «tre bidoni, sprofondati un paio di metri sotto il livello del terreno. «In quel periodo», ricorda Teresa e il padre conferma, «c'erano state forti piogge, per cui il fiume aveva scavato sotto la briglia e il terreno s'era fatto molle».
Difficile, dunque, capire se i fusti fossero spinti in superficie dalla potenza dell'acqua, o stessero sprofondando nella terra fradicia. «Allora», riconosce Teresa, «né io né mio padre abbiamo colto l'importanza di quell'episodio. Ora tutto è diverso. Adesso, dopo aver saputo dei traffici di rifiuti tossici, ci poniamo mille domande. Sperando, prima o poi, di avere qualche risposta.
(21 ottobre 2009)
L'articolo su L'Espresso.