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Intervista a Lisa Caputo NowakUna intervista esclusiva del Quotidiano della Calabria all'astronauta Lisa Caputo Nowak
La straordinaria missione sullo Shuttle Discovery raccontata da Lisa Caputo Nowak, che com'è noto è stata la prima astronauta italo-americana a prendere parte ad una missione nello spazio nel luglio scorso. Dopo l'intervista ad Alfred e Jane Caputo, genitori di Lisa, il Quotidiano ha indirizzato una serie di domande (sottoposte preventivamente alla visione dell'Astronaut Appearance Office della NASA a Huston), alla stessa astronauta di origini calabresi, una delle donne all'estero di maggior successo, come risulta dal rapporto sugli Italiani nel Mondo della Fondazione Migrantes, presentato a Roma qualche giorno fa. Ecco cosa ci ha raccontato.
Dopo gli incidenti del Challanger e del Columbia ha avuto qualche timore, prima e durante la Missione STS-121 del Discovery Shuttle? «No, eravamo troppo occupati per aver paura. Anche durante il lancio, quando i razzi stavano per accendersi, dovevo controllare le procedure e i sistemi del veicolo. Penso che sia molto più difficile per la famiglia a terra guardare lo shuttle con sotto quella grande sfera di fuoco. In ogni modo, il lavoro scrupoloso e attento di molti assistenti tecnici della NASA ha migliorato tantissimo la sicurezza dell'Orbiter. Ho visto personalmente il nostro serbatoio esterno mentre veniva rivestito con la gomma piuma. Un lavoro estremamente delicato che i tecnici hanno eseguito con dedizione. Il loro esempio rappresenta il genere di impegno che l'intera squadra della NASA mette a sostegno dell'esplorazione dello spazio». Com'è stata la coabitazione con gli altri astronauti in uno spazio così piccolo come quello dell'Orbiter? «Siamo stati racchiusi nel piccolo spazio dell'Orbiter solo per pochi giorni. Il terzo giorno, abbiamo attraccato alla Stazione Spaziale Internazionale che è come una casa con tre camere da letto. Con l'equipaggio della navicella e della Stazione uniti eravamo nove persone a bordo, ma lo spazio a disposizione è stato sufficiente. Alcuni dei momenti più divertenti sono state le poche volte che abbiamo avuto la possibilità di riunirci tutti insieme e consumare i pasti. Tutto è stato abbastanza piacevole. Anche se penso che per i membri della Stazione (che è in orbita dal marzo scorso, nda) sia stato più difficile. Erano abituati ad uno spazio organizzato, ad un programma più lento e a meno caos. La nostra squadra invece è stata come un ciclone! Ci hanno confessato che la prima notte, dopo il nostro arrivo, hanno dormito 12 ore». Quali sono stati i suoi pensieri e i suoi sentimenti durante questa missione? «All'inizio, ho voluto assicurarmi che tutti i miei compiti fossero svolti in modo corretto e sicuro... specialmente le operazioni con il braccio meccanico che erano la parte essenziale della missione. Come il volo proseguiva, e acquistavo maggiore fiducia con l'ambiente spaziale, ho iniziato a rendermi conto di come ero fortunata a trovarmi in microgravità e come questo fosse divertente. Guardare fuori dalla finestra è stata un'esperienza incredibile. La bella Terra blu mi passava di sotto, una volta ogni 90 minuti. Montagne, oceani, canyon di giorno; e luci delle città, fulmini e la luce dell'aurora, di notte. Un mondo senza confini politici giaceva sotto di noi ed era possibile credere che tutta la gente sul pianeta poteva forse condividere questa vista, e qualche giorno lavorare insieme verso gli obiettivi comuni... come l'esplorazione del nostro universo!» Ha avuto contatti con la sua famiglia? «Durante la gran parte della missione, ognuno di loro è stato impegnato nel proprio vivere quotidiano. Però so che mi hanno guardata sempre e attentamente in televisione. Le mie figlie gemelle (Alyssa e Katrina, nda) a volte hanno baciato lo schermo della TV! Ho potuto fare alcune telefonate dallo spazio e anche una videoconferenza. Questi collegamenti hanno significato molto per me. Il giorno dell'atterraggio, tutti sono venuti in Florida. Naturalmente, la cosa migliore da fare quando una famiglia italiana vuole festeggiare è quella di mangiare assieme! E così siamo andati in un ristorante italiano (da Silvestro Antonioli, nda) e lì abbiamo trascorso molte ore in compagnia». È soddisfatta della missione Sts-121 e del lavoro svolto? Cosa può dirci sul suo compito e sul rapporto con l'equipaggio? «La nostra è stata una missione di grande successo. Era la seconda delle due missioni di ritorno al volo designate a testare nuove apparecchiature e nuove tecniche di riparazione per una maggiore sicurezza dei voli Shuttle che seguiranno. Abbiamo portato ed installato telecamere al laser per ispezionare l'intera struttura dello Shuttle e verificare eventuali danni prima del rientro a terra. Io mi occupavo della manovra del braccio robotico durante i monitoraggi. Un compito delicato, da eseguire con molta attenzione, soprattutto per i rapidi cambi di condizioni di luce forte e completa oscurità. (…) Per quanto riguarda il rapporto con gli altri membri dell'equipaggio, posso dire che una squadra deve legare in molti sensi differenti. Ho lavorato molto, molto attentamente con il Comandante Steven Lindsey ed il pilota Mark Kelly durante l'ascesa e l'entrata in orbita, in qualità di secondo esperto di missione, un ruolo paragonabile a quello di assistente tecnico di volo. In pratica, ero il responsabile dei sistemi di controllo dello Shuttle. Durante l'addestramento per le passeggiate extraveicolari, la squadra esterna (Sellers e Fossum, nda) ha dovuto maturare una completa fiducia per la persona che li avrebbe guidati mentre erano aggrappati all'estremità del braccio robotico, e cioè la sottoscritta! Abbiamo lavorato moltissime ore per ottenere i migliori risultati. È indispensabile che ogni membro della squadra faccia il massimo per la sicurezza e l'efficienza dell'intera missione. Come è anche molto importante che si sviluppino all'interno delle buone relazioni personali per rendere piacevole il viaggio insieme e conservare bei ricordi che dureranno la vita intera. Siamo stati in questo molto fortunati, ognuno di noi ha avuto rispetto per gli altri e siamo diventati tutti buoni amici». È orgogliosa di essere un'astronauta? «Credo che sia un onore ed un privilegio. Ci sono molte persone che si impegnano per rendere possibili i voli nello spazio. Ognuna di queste persone sa quanto importante sia il suo ruolo. Sono molto fiera di far parte di questa squadra». Quale e quando sarà la sua prossima missione? «Beh, sono appena tornata. Non ho ancora ricevuto un'altra assegnazione. Sarò felice di prendere parte ad un'altra missione se mi sarà data tale opportunità. Oltre ai voli dello Shuttle dei prossimi anni, stiamo costruendo un nuovo veicolo chiamato Orion, che speriamo possa ritornare di nuovo sulla Luna e perfino su Marte negli anni a venire». Quanto si sente legata alle radici italiane? «Alcuni dei più bei ricordi della mia infanzia risalgono alle riunioni di famiglia con i parenti italiani: rammento quei lunghi e piacevoli pranzi, i dolci preferiti di una delle pasticcerie italiane di Filadelfia, e la voce dei miei nonni che parlavano italiano. Poi, ad un certo punto ho capito che stavo per diventare la prima donna italo-americana ad andare nello spazio, e questo è stato molto emozionante. Un fatto che può ispirare tante giovani donne a intraprendere la carriera in aeronautica che, sino a non molto tempo fa, era molto difficile fare, mentre adesso le possibilità sono senza limiti. Rappresentare sia il paese della mia nascita che quello delle mie origini è stato particolarmente significativo, specialmente quando abbiamo attraccato alla Stazione Spaziale orbitante, che ora sta diventando sempre di più internazionale. Per la prima volta, da quando abbiamo portato con la nostra missione il primo astronauta dell'Ente Spaziale Europeo (il tedesco Tom Reiter, mentre gli altri due sono Pavel Vinogradov della Agenzia Spaziale Russa e Jeff William della Nasa, nda) che rimarrà a bordo per 6 mesi, sino al prossimo dicembre, a bordo della Stazione ci sono 3 membri dell'equipaggio di tre nazioni differenti. Con la nostra missione, inoltre, abbiamo portato il modulo logistico multiuso Leonardo - uno dei tre moduli costruiti in Italia - che conteneva migliaia di libbre di apparecchiature e rifornimenti per la Stazione spaziale. Abbiamo utilizzato il braccio robotico per fissare e trasferire tutto il carico del modulo all'ISS. Ogni volta che ho galleggiato là dentro, mentre trasferivano il carico, ho sentito uno speciale legame con i tecnici italiani che hanno realizzato una parte così importante dell'apparecchiatura spaziale, sapendo che facciamo tutti parte di una grande famiglia!». Sarebbe contenta di visitare un giorno l'Italia, in particolare la Calabria e la Sicilia, le regioni di origine dei suoi genitori? «Sarei deliziata di visitare l'Italia, e le regioni da cui sono partiti i miei antenati, oltre che le tante città d'arte italiane. Spero di poter fare una presentazione ufficiale delle mie esperienze di astronauta nel paese delle mie origini paterne (Aiello Calabro, Cs). O forse, fare un viaggio riservato e godere, rilassandomi, dei bei paesaggi del sud Italia e del buon cibo». Bruno Pino11/10/2006 |
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