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Riscoprire don STURZO: 1901 profeta del Federalismo

Riceviamo e pubblichiamo questo articolo su don Sturzo:

Don_Sturzo«Lasciate che noi del meridione possiamo amministrarci da noi, da noi designare il nostro indirizzo finanziario, distribuire i nostri tributi, assumere le responsabilità delle nostre opere, trovare l'iniziativa dei rimedi ai nostri mali». Era il 1901 quando su La Croce di Costantino appare quest'articolo di Luigi Sturzo, fondatore del Partito popolare e meridionalista convinto che, solo attraverso lo sviluppo di un largo decentramento, il Mezzogiorno avrebbe potuto trovare la via del riscatto. Da allora, rafforzato anche dalle esperienze di amministratore locale, l'autonomismo resta un punto nevralgico del pensiero politico di don Sturzo che nel 1921 a Venezia, in occasione del terzo congresso dei popolari, lancerà in modo compiuto l'idea di regione come ente con autonomia legislativa e finanziaria.

Nel dopoguerra Sturzo è quindi naturalmente tra i principali fautori dell'impostazione regionalista dell'Italia repubblicana, ma questo non gli impedisce di muovere dure critiche alla scarsa convinzione con cui la Costituzione del 1947 aveva riconosciuto le prerogative legislative regionali. In particolare il sacerdote siciliano polemizza per l'esclusione tra le materie di competenza regionale dell'industria e del commercio, settori cruciali per lo sviluppo sui quali soltanto la conoscenza del territorio delle istituzioni locali, secondo Sturzo, consente di pianificare efficaci politiche d'incentivo e di sostegno infrastrutturale senza mai cadere, però, nell'assistenzialismo pubblico. La politica economica è, infatti, un aspetto fondamentale del regionalismo di don Sturzo. Il suo è insieme un federalismo storico, che vede nelle regioni italiane una realtà vivente e insopprimibile dell'Italia post-unitaria, ma anche un federalismo funzionale, proposto come soluzione pratica allo statalismo che attraverso le logiche assistenziali nutre i suoi apparati e affama il cittadino elettore e contribuente.

Nel pensiero del sacerdote di Caltagirone la regione è un corno essenziale e inevitabile all'interno di un pensiero politico liberale e liberista, una conseguenza naturale di quell'antistatismo che porta Sturzo a criticare duramente il sinistrismo economico della Dc del dopoguerra. È questo stesso approccio funzionale che spinge Sturzo nel 1959 a biasimare le prime esperienze regionali degli statuti speciali, colpevoli di riprodurre gli stessi mali dello statalismo creando enti, gestioni fuori bilancio e clientele, prevaricando le prerogative di comuni e province e, soprattutto, venendo meno a quella funzione di controllo su tutte le spese realizzate sul territorio col denaro pubblico. Sturzo capisce già allora che, nonostante organi elettivi propri, le regioni rischiano di restare un ente delegato dello stato, destinato a soffrire, come lo stato, della partitocrazia. Nella sua concezione politica, invece, la semplificazione amministrativa e legislativa sono elementi portanti in un disegno regionale dello stato, il cui obiettivo finale consiste nella sana gestione del denaro pubblico attraverso il controllo locale delle risorse e della leva fiscale. È questo uno dei punti più attuali del pensiero di Sturzo che riconosce la necessità di un federalismo fiscale, come passaggio indispensabile per assecondare lo sviluppo delle differenti realtà regionali. «È razionale e giusto, scrive nel 1901 sul Sole del mezzogiorno, che le regioni italiane abbiano finanza propria e propria amministrazione, secondo le diverse esigenze di ciascuna, e che la loro attività corrisponda alle loro forze, senza che queste forze vengano esaurite o sfruttate a vantaggio di altre regioni e a danno proprio". Un federalismo spinto quello sturziano che non nega tuttavia il principio di nazionalità che deve portare le regioni ad aiutarsi reciprocamente. Tanto è rigoroso nel promuovere l'efficacia amministrativa delle autonomie locali, tanto è puntuale infatti nel ribadire la necessità di un'unità che colleghi economicamente le regioni e dia unità legislativa, giudiziaria e militare al Paese.

Sturzo intuisce però come soltanto il rapporto stretto tra amministratori e amministrati, realizzato nelle istituzioni locali, sia in grado di garantire un controllo e una migliore trasparenza nella spesa pubblica e quindi un livello più alto di democraticità delle scelte politiche. Da liberista non esita perciò a scagliarsi contro il capitalismo di stato che finanzia e sostiene le imprese nei settori più disparati col denaro pubblico, alterando in questo modo lo sviluppo di una forte e sana iniziativa privata. Lo stato è infatti l'istituzione più lontana dai cittadini, cui tutti sentono di poter chiedere senza percepire nell'immediato le ripercussioni di una politica spendereccia; per lo stesso motivo lo stato è il centro di potere, dove meglio possono annidarsi le pratiche partitocratiche e le grandi lobby economiche. Prima di tanti Sturzo prevede insomma le conseguenze nefaste dell'assistenzialismo, la voragine del debito pubblico, la politica inflazionistica. Il decentramento amministrativo e finanziario, nel suo disegno, è allora l'antidoto agli sprechi persi nei meandri dei ministeri, ai buoni propositi, puntualmente disattesi, dei politici meridionali di fare fronte comune in Parlamento nell'interesse del sud.

Una lezione, questa di don Sturzo, che conserva quindi un'attualità impressionante e che oggi, alla vigilia del dibattito sul federalismo fiscale, può rappresentare per il Mezzogiorno un invito al coraggio, a scommettere su se stesso.

Di Carlo D'Andrea
20/06/2009
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