Dopo alcune rogatorie internazionali l'India smentisce che la Cunsky sia stata demolita nel porto di Alang. Dda al lavoro per capire chi e perché ha falsificato le certificazioni
La “nave dei veleni” riemerge dall'oblio in cui era finita dopo che la Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro aveva chiesto e ottenuto l'archiviazione dell'indagine aperta dopo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Fonti. Il pentito, deceduto il 5 dicembre scorso, aveva raccontato di aver fatto inabissare il mercantile Cunsky al largo di Cetraro con la stiva carica di rifiuti tossici. Gli accertamenti della Procura erano, però, terminati davanti a due dati che apparivano, almeno fino a qualche giorno fa, incontrovertibili: il relitto trovato nel Tirreno cosentino appartiene al piroscafo Catania affondato da un U-boat tedesco durante la prima guerra mondiale; ma soprattutto la Cunsky era stata demolita il 23 gennaio 1992 nel porto indiano di Alang. Caso chiuso, e invece...
Succede che nelle settimane scorse giunge l'esito di alcune rogatorie internazionali. L'autorità indiana mette nero su bianco che la nave non solo non è mai stata rottamata nel porto di Alang, ma non è mai giunta sulle coste indiane. Insomma, i registri trasmessi alla Dda catanzarese erano sbagliati, forse addirittura falsificati.
Gli inquirenti calabresi sono già al lavoro. Da quanto si apprende, nel registro degli indagati sarebbero stati iscritti alcuni nomi con l'ipotesi di falso, tecnici e dirigenti della Marina mercantile che avrebbero trasmesso ai magistrati della Dda le certificazioni rivelatesi adesso fasulle.
'Ndranghetista con il grado di “vangelo”, Francesco Fonti nel 2003 inizia a parlare delle cosiddette “navi dei veleni”. Le notizie in suo possesso vengono racchiuse in un memoriale che consegna alla Procura nazionale antimafia. In vari verbali, e non senza contraddizioni, Fonti dichiarò d'aver utilizzato dell'esplosivo, con la complicità del clan Muto di Cetraro, per inabissare tre imbarcazioni cariche di scorie: la "Cunsky" davanti alle coste di Cetraro, la "Yvonne A" al largo di Maratea, e la "Voiaris Sporadis" al cospetto delle spiagge di Genzano. Il fascicolo aperto dall'Antimafia catanzarese portò all'iscrizione nel registro degli indagati di quattro persone: Fonti, il boss Franco Muto, Giuseppe Scipio Marchetti, genero di Muto, e Delfino Luceri. Sul tratto di mare di fronte Cetraro iniziò una vasta campagna di analisi. I dati tecnici raccolti esclusero la presenza di radioattività e indicarono quel relitto come appartenente alla nave passeggeri Catania, affondata durante la prima guerra mondiale, nel 1917, da un sommergibile. Per la Procura, inoltre, le dichiarazioni di Fonti sarebbero «così stridentemente contrastanti» tra loro da far ritenere il racconto «pura e semplice "invenzione"». I magistrati conclusero quindi che il pentito sarebbe stato estraneo al «fenomeno criminale», da lui stesso descritto. Gli inquirenti non negarono la possibilità che la 'ndrangheta abbia fatto ricorso alle “navi dei veleni” per smaltire illegalmente rifiuti. Che però ciò sia avvenuto nella costa tirrenica calabrese «rappresenta, allo stato, una illazione che non trova alcun riscontro in fatti concreti».
Ora, però, uno dei pilastri su cui poggiava l'archiviazione sembra venir meno. L'interrogativo adesso è quello di capire chi e perché abbia falsificato gli atti trasmessi alla Procura e soprattutto che fine abbia fatto realmente la motonave Cunsky.
Da Il Corriere della Calabria articolo originale qui.