«Ho grande ammirazione per un cattolico democratico come è stato il presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, molto più laico di tutti i presidenti laici che ci siamo ritrovati, da Ciampi per finire a Napolitano, troppo coricati sulla Chiesa. Si sa, in questi casi è una questione di schiena dritta o piegata». Sono le prime parole che Marcello Cini ci dice al telefono quando lo chiamiamo per chiedergli di commentare le reazioni, pressocché unanimi, alla rinuncia del papa di prendere parte all’inaugurazione dell’anno accademico da parte di tutti i leader politici e anche delle massime cariche istituzionali, a cominciare appunto dal capo dello Stato. Era stato proprio Cini, autorevole fisico, a dare il via il 14 novembre scorso, attraverso una lettera inviata alla stampa, ad una protesta netta contro l’invito del rettore della Sapienza Renato Guarini ad un pontefice la cui politica assomiglia sempre più a quella di Pio IX che nel 1864 condannava nel “Sillabo” le varie attività umane in dissonanza con la dottrina cattolica.
Professor Cini, la prima cosa che balza agli occhi, leggendo le dichiarazioni dei vari leader politici, è, pur con delle sfumature, una sorta di unanimismo tra i vari partiti, compresa Rifondazione comunista. C’è insomma molta moderazione e nel nostro giornale venite accusati di “minoritarismo resistenziale”. Come reagisce a quest’ondata di critiche?
Devo dire che è molto difficile fermarla. Io reagisco dicendo che c’è stata una colossale disinformazione e supercialità. Per me è complicato usare parole forti ma certamente la vicenda è sconcertante perché l’essenza della questione è stata ridotta con un semplicismo che spaventa. Sia io, in primo luogo, che i miei colleghi, autori per propria iniziativa di un appello al rettore, veniamo tutti accusati di aver complottato per impedire al papa di parlare, diventando così intolleranti e violenti. Ma a parte il fatto che il papa parla tutti i giorni e le sue parole sono ogni giorno amplificate e riportate in tutti i telegiornali. E a parte il fatto che sarebbe paranoico e pazzesco pensare di fermare tutto questo, devo ricordare che quella era una lettera di un professore dell’università che dissente dalla decisione presa dal suo rettore spiegando il perché.
Quale era il punto professore?
La sostanza riguarda l’inaugurazione dell’anno accademico della più importante università italiana, un atto pubblico, un rito se si vuole, in cui viene ribadito il ruolo fondamentale dell’istituzione universitaria in uno Stato laico moderno, pluralista e democratico dove l’articolo 33 della Costituzione sancisce e riconosce la libertà della ricerca scientifica. Questo atto pubblico è una riaffermazione del carattere dell’università come comunità di studiosi appartenenti a tutti gli orientamenti, con quella critica reciproca che caratterizza lo sviluppo della conoscenza in particolare dopo l’Illuminismo e la Rivoluzione francese. Questo atto pubblico entra in contrasto con l’invito ad aprire ad un rappresentante di una autorità, certamente rispettabile e riconosciuta da centinaia di milioni di fedeli, ma che si fonda su un principio totalmente diverso dal punto di vista metodologico, ontologico, epistemologico, un principio autoritario, dogmatico secondo il quale il papa è il rappresentante di dio in terra e le sue parole riversano carattere di verità assoluta. C’è dunque un improprio accostamento in un’unica fede di due concezioni differenti, rispettabili e autonome nelle proprie sfere ma che se si mettono insieme costituiscono un’obiettiva contraddizione.
Insomma, nessun intento censorio…
Assolutamente. E io non ho mai pensato di dire che il papa non deve mettere piede nell’università, cosa che peraltro hanno fatto altri papi. Sarebbe invece stato un atto di saggezza se il rettore da un lato e il Vaticano dall’altro si fossero semplicemente accordati per una data diversa. E’ dunque
l’accostamento della visita del papa con l’inaugurazione dell’anno accademico che ha suscitato la mia protesta e che continuo a ritenere un accostamento che non ha nulla a che vedere con il dialogo e con la libertà del pontefice. E’ un accostamento improprio, è come se io andassi dal parroco chiedendo di usare la chiesa per fare una lezione su Darwin. Giustamente mi direbbe di no e io non direi che è intollerante e che mi vieta di parlare. Nessuno, in questo valanga di indignazioni o pseudo tali e di strumentalizzazioni che ci si è rovesciata addosso, tiene conto del fatto che bastava che spostassero la visita del papa in altro giorno perché io non scrivessi quella lettera.
A sinistra si discute se la retromarcia vaticana seguita alla mobilitazione dei docenti e degli studenti è stata un successo per la causa laica oppure un boomerang, vista l’enormità delle reazioni che hanno dipinto il papa come una vittima. Qual è la sua opinione?
Si tratta di uno dei classici esempi di una farfalla che sbatte le ali in Brasile e provoca un tornado a diecimila chilometri di distanza. E’ imprevedibile quello che può succedere quando si intraprende un’azione qualsiasi. Certamente la mossa del Vaticano è stata abile, non c’è dubbio. Fa il suo mestiere. E comunque io non la considero una vittoria, perché puntavo ad una soluzione interna all’università che salvasse la sua autonomia. Ora chissà che cosa si inventeranno i politici per rimediare a quello che è successo!
Qualcuno ricorda che non ci fu un’analoga protesta quando papa Wojtyla venne invitato in parlamento…
Non sono mai stato parlamentare e comunque l’atteggiamento di Giovanni Paolo II era complessivamente diverso, per esempio nei riguardi delle altre religioni. Anche se quella visita non mi sembrò un trionfo dell’autonomia della repubblica italiana nei confronti del papato. E comunque quel fatto non può certo essere utilizzato per scalpire le mie argomentazioni.
Come accennava prima, c’è in tutto questo una responsabilità della politica, incapace di arginare gli sconfinamenti della Chiesa. Per esempio molti commentatori sostengono che il neonato Partito democratico è meno laico della vecchia e defunta Democrazia cristiana. Come si spiega questo scenario?
Purtroppo il nostro paese subisce l’eredità del papato. Certo né in Spagna né in Francia si sognerebbero di invitare il papa all’inaugurazione dell’anno accademico della Sorbona o dell’università di Madrid. Per ciò che riguarda la politica, la formazione del Pd è stato un tentativo di abbattere le barriere tra il pensiero riformista laico e socialista e quello cattolico. […]
Il testo integrale dell’articolo di Vittorio Bonanni è stato pubblicato sul sito di Liberazione
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