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Ormai tutto il Paese è Sud

Quando all'Università lessi Edward Banfield, nel suo Le basi morali di una società arretrata, trovai l'analisi sul familismo amorale illuminante per rintracciare i germi della malattia del sottosviluppo nella società meridionale. D'altra parte, il sociologo americano aveva studiato proprio una comunità del Mezzogiorno, individuandone come tratto distintivo - e, al tempo stesso, come causa della sua arretratezza - la tendenza a considerare solo i benefici di breve periodo e soltanto per i componenti della propria comunità d'appartenenza. Da allora ho sempre ritenuto che il motivo prevalente per il quale il Sud non si era sviluppato, si dovesse ricercare soprattutto nella sua incapacità di guardare oltre e di pensare alle conseguenze delle sue scelte in una dimensione più vasta e di prospettiva, che riguardasse anche l'avvenire degli altri territori e delle generazioni future del Mezzogiorno.

Certo, era evidente che per il ritardo di sviluppo del Sud ci fossero anche altre ragioni di carattere storico e politico, come le scelte sbagliate dei gruppi dirigenti nazionali o locali; ma ritenevo che pesasse sicuramente di più il limite culturale di una società senza fi- ducia nello Stato e nelle sue istituzioni, che in alcune realtà considerava naturale, invece, addirittura, il governo delle mafie. Che non aveva un'idea di futuro e che pensava più al presente che al carico di problemi che avrebbe trasferito ai propri figli. Quindi, era per colpa dell'irresponsabilità dei politici meridionali e della loro complicità con i propri clientes afflitti dal bisogno, se nel Sud l'amministrazione pubblica era stata considerata come un ammortizzatore sociale, per produrre lavoro precario in cambio di voti, e non come l'organizzazione utile a trasformare il denaro di tutti in servizi per la collettività.Ancora, era a causa del prevalere degli interessi particolari su quelli generali se la spesa pubblica locale, viziata da troppi campanilismi e sprechi, non generava sviluppo, ma, invece, solo debito pubblico e alibi per azzerarla da lasciare in eredità alle generazioni che sarebbero venute. Oggi non studio più all'Università, sono in Parlamento e leggo Banfield in un altro modo. Oggi mi pare che quegli stessi tratti degenerativi della società meridionale appartengano sempre di più, e pericolosamente, all'intero Paese, che non ha più una visione del proprio futuro, e sembra invece solo l'insieme di diversi egoismi territoriali e sociali tendenti a massimizzare unicamente vantaggi materiali, immediati e parziali. Per questo cresce la Lega o, specularmente, il desiderio di un partito del Sud.

Oggi mi sembra che quell'ethos comunitario che è mancato alla società meridionale negli anni, e la cui assenza è stata la causa prevalente della sua arretratezza, stia svanendo anche nel resto del Paese. Lo dimostrano le fratture tra Nord e Sud, tra Regioni e Governo nazionale, tra pezzi delle

Istituzioni in guerra perenne fra loro, tra poteri dello Stato. Lo rendono evidente i conflitti sociali, che con la crisi si acuiscono sempre più. Inoltre, il Paese sembra abbia smesso di pensare a ciò che sarà nel futuro, così come ha fatto finora il Sud. Per questo non trova il coraggio di realizzare le riforme necessarie, di investire, nella scuola e nella formazione, nell'innovazione. Se trovasse questo coraggio, se volesse riformarsi, risolverebbe anche gran parte dei problemi del Mezzogiorno. Di queste riforme si gioverebbe soprattutto il Sud, ed anche il Nord sarebbe nel suo complesso molto più competitivo. Infatti, quasi tutti i problemi del Mezzogiorno sono gli stessi che affliggono anche il resto dell'Italia, ma cento volte più gravi. Per esempio: il nostro Paese non è sufficientemente competitivo, ha una dotazione infrastrutturale mediamente inferiore a quella degli altri paesi europei, non attrae investimenti stranieri (solo il 6% del totale degli investimenti), ha necessità di riformare la burocrazia, l'università, il sistema della formazione, di accorciare i tempi della giustizia civile, non valorizza a sufficienza il merito. Il Mezzogiorno è ancor meno competitivo, ha un deficit d'infrastrutture molto più grave, è ancor meno attraente per gli investimenti esteri (solo lo 0,6%), ha un livello d'intermediazione politica e buro- cratica molto più soffocante, un sistema universitario e della ricerca insufficiente, tempi della giustizia ancora più lunghi, percorsi di mobilità sociale e di selezione quasi impermeabili al merito. Dunque, riformando davvero il Paese si apre la strada per lo sviluppo anche del Mezzogiorno. Così come soltanto sviluppando il Sud può migliorare il Paese. Non vi è, infatti, alcuna possibilità che l'economia italiana possa crescere e competere in Europa se ventuno milioni di persone residenti nel Mezzogiorno d'Italia restano fuori da questo processo. Bisognerebbe, poi, mentre si fanno le riforme, avere anche il coraggio di puntare con decisione ad alcune scelte di politica economica e di sviluppo per il Sud. In particolare, si dovrebbe chiedere al Governo e alle Regioni del Sud: 1. di scambiare i contributi a fondo perduto (che costano circa 5/6 MLD di euro l'anno, e che si disperdono in mille rivoli) con l'istituzione di una Low Tax Area, applicando per sei anni un'aliquota di tassazione per le società del 12,5% (costerebbe circa 2mld l'anno); 2. di istituire un'agenzia per l'attrazione degli investimenti dal Mediterraneo (potrebbe essere anche la Banca del Mezzogiorno, della quale non si sente più parlare!), per fare del Sud la piattaforma logistica del Mediterraneo; 3. un Piano straordinario per il Turismo riprogrammando in obiettivi strategici le risorse regionali, perché non è possibile che il Sud non riesca a intercettare una parte significativa dei turisti che si recano in Italia, nonostante abbia un terzo dei siti Unesco del nostro Paese e sebbene le regioni meridionali investano (male) ogni anno circa 700 milioni nel loro (mancato) sviluppo turistico; 4. una Riforma della Formazione Professionale, che nonostante l'enorme quantità di fondi europei utilizzati non produce alcun posto di lavoro. Per orientarla al potenziamento del sistema dei voucher per i giovani e per le imprese, e affinché i lavoratori si formino nelle imprese più che nelle aule degli enti di formazione; 5. di sottoporre la spesa pubblica regionale a un sistema di controlli sulla qualità e sulla sostenibilità, perché nel corso degli anni alla devoluzione dei poteri ha corrisposto purtroppo un graduale smantellamento dei controlli sull'attività amministrativa, con effetti devastanti sui bilanci locali e sulla dimensione degli sprechi. Sarebbe necessario, dunque, chiedere al Mezzogiorno e al Governo nazionale una decisa inversione di rotta. Dentro uno scenario in cui, naturalmente, la lotta alle mafie e ai poteri illegali non conosca sosta né ostacoli. Ma soprattutto bisognerebbe, prima di ogni altra cosa, sperare che il Paese smettesse di girare le spalle al suo avvenire, anzi nutrisse, con cura e dedizione, il desiderio di futuro in ogni sua espressione. Perché, se l'Italia sacrificasse ai piccoli egoismi ed ai particolarismi territoriali la sua storia e i valori di fondo, che l'hanno resa una delle nazioni più importanti dell'Occidente, non solo il Mezzogiorno, ma tutto il Paese sarebbe condannato ad una pericolosa involuzione. Proprio com'è accaduto per le comunità meridionali, descritte da Banfield cinquanta anni fa e che somigliano così tanto al Paese di oggi.

 

di Roberto Occhiuto
27/07/2010
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