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Fiume Oliva: Radioattività da record

Nei terreni contaminazione da cesio 137 circa 10 volte superiore alla media regionale.
L’Ispra: “colpa di Chernobyl”.

Valle Oliva - Un puzzle complesso. Maledettamente difficile da ricomporre, i cui pezzi, a prima vista idonei ad incastrarsi perfettamente l’uno con l’altro, non riescono però a restituire appieno il quadro complessivo. Le indagini portateavanti dalla Procura di Paola sul presunto inquinamento della vallata dell’Oliva hanno questa caratteristica: ogni nuovo singolo tassello trovato non si incastra mai con i precedenti. Nonostante la sagoma coincida con quella ricercata. Nonostante sembri restituire il profilo dell’immagine finale. Il dato che emerge dalla relazione del 6 giugno scorso, stilata dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), conferma questo fil rouge: valori di contaminazione di cesio 137 circa dieci volte superiori alla media regionale ma «riconducibili - secondo gli esperti dell’Ispra - a fenomeni naturali di accumulo di radionuclidi». In particolare nel documento trasmesso al procuratore della Repubblica di Paola, Bruno Giordano, titolare dell’inchiesta sull’Oliva, i tecnici dell’Istituto hanno riscontrato un valore anomalo di cesio 137 in località Petrone di Aiello Calabro: 132 Bq/kg (Bequerel per chilogrammo di terreno). Un dato elevatissimo. Mai riscontrato prima in nessuna altra parte della regione. La letteratura scientifica in materia, infatti, parla di un valore medio in Calabria di presenza di questo radionuclide artificiale, altamente cancerogeno, che si ferma attorno a 15-16 Bq/Kg. Inoltre, dalle risultanze di alcuni tecnici, incaricati dallo stesso procuratore di effettuare studi comparati sui terreni del Tirreno cosentino, addirittura questo valore risulta ancora più basso: il picco più alto registrato in quest’area è pari a 8,9 Bq/kg. Ebbene, nonostante tutto questo, gli esperti dell’Ispra concludono la loro ultima relazione in questo modo: «Sulla base delle misure effettuate, si ritiene che la presenza di cesio 137 sia riconducibile a fenomeni naturali di accumulo del radionuclide derivante dalle ricadute delle esplosioni nucleari degli anni ‘60 e dall’incidente di Chernobyl». Identica conclusione a cui erano giunti gli stessi tecnici dell’Ispra già a febbraio scorso quando, dopo una lunga fase di analisi dei campioni prelevati nell’Oliva, durata oltre otto mesi, avevano sentenziato: effetti di Chernobyl. In quell’occasione, i valori riscontrati dagli esperti dell’Istituto erano già alti. Nello stesso sito, già esaminato, di località Petrone l’Ispra aveva fissato questo valore a 93 Bq/kg. Mentre in altri campioni prelevati nel 2010 in tre siti distinti in località Foresta di Serra d’Aiello, il cesio 137 rinvenuto era pari rispettivamente a 29,6 Bq/kg, 14,4 Bq/kg e, infine, a 15,2 Bq/kg. Valori alti ma riconducibili, per i tecnici dell’Ispra, all’incidente alla centrale Chernobyl del 1986 e ad altri fenomeni di contaminazione “naturale”. Eppure, dalle rilevazioni sulle ricadute naturali derivanti da incidenti nucleari nel mondo, riportate dal Notiziario dell’Enea (maggio-giugno 2006) e dall’Hearth Physics Abstract, il riferimento al cesio 137 per il Sud Italia ha come valore statistico 6 Bq/kg. Contraddizioni che non si fermano qui.

Da una relazione effettuata dall’Arpa Piemonte che ha monitorato dal 1997 al 2002 l’area della Provincia di Vercelli (tra le zone italiane più colpite dalle ricadute radioattive dell’incidente di Chernobyl) emerge che la presenza di cesio 137 è più bassa che in alcuni siti monitorati nella vallata dell’Oliva. Da quello studio si legge, infatti, che la quantità di cesio è passata da 151 Bq/kg del 1997 a 54 Bq/kg del 2002. Cioè, in quest’ultimo caso, meno della metà del valore rinvenuto a febbraio scorso in località Petrone e praticamente pari a quello ritrovato in altri due siti (200 metri dallo stesso sito di Petrone e in località Foresta). Riferimenti temporali importanti se si tiene conto che la contaminazione da cesio 137 decade con il trascorrere degli anni e, addirittura, in 30 anni si dimezza. Dall’incidente di Chernobyl, ultimo episodio di ricaduta significativa di cesio 137 registrabile nelle analisi dell’Ispra dello scorso febbraio, sono trascorsi già 25 anni. Elementi che cozzano con le conclusioni a cui è giunto l’Ispra a proposito della quantità elevata di questo radionuclide nella valle dell’Oliva Sostanza, che ricordiamo, si forma solo dopo l’esplosione di un ordigno atomico o nel processo di generazione elettrica da fonte nucleare. La tesi è riscontrabile anche nelle relazioni effettuate, nel corso dell’indagine giudiziaria, dai consulenti tecnici nominati dalla Procura di Paola che escludevano, già nel passato, chiaramente questa ipotesi. Soprattutto alla luce della presenza di cesio 137 rinvenuta anche in profondità. Nel 2004 l’Arpacal riscontrò, infatti, questo radionuclide anche nel sottosuolo dell’Oliva. Ad esempio, in località Foresta, alla profondità di cinque metri i tecnici dell’Agenzia regionale trovarono questo isotopo radioattivo con un valore pari a 3,59 Bq/kg. Si parlò anche allora di Chernobyl ed anche allora i tecnici di parte confutarono questa ipotesi. «Il cesio 137 – scrisse uno dei consulenti della Procura – è un radionuclide artificiale che, normalmente, si mantiene in superficie e non scende, in terreni argillosi e misti anche in tempi lunghi, in profondità superiori a 40-50 cm». E, sempre durante un’indagine effettuata da un tecnico di fiducia della Procura su campioni prelevati nel 2007 ad una profondità di 4 metri in località Foresta, alla sinistra idraulica del torrente Oliva, fu riscontrata la presenza di cesio 137 con valori pari a 3Bq/kg. «È da ritenere non escludibile e forse possibile l’ipotesi che il cesio 137 – si leggeva nella relazione conclusiva presentata in Procura nel 2008 – possa essere una propaggine o dispersione proveniente da una zona interrata più ricca di detto isotopo artificiale radioattivo». Ancora, in un’altra relazione consegnata sempre nel 2008 nella mani del procuratore su nuovi rinvenimenti di cesio 137 nel sottosuolo dell’Oliva, si leggeva: «La presenza di cesio 137 in profondità può essere giustificata, molto verosimilmente, solo dal fatto che il materiale che lo contiene possa avere origine o provenienza diverse da quella un cui è stato trovato, ossia da scarico illecito». Rinvenimenti importanti che contrastano con le ultime analisi effettuate dall’Ispra. Nel rapporto arrivato in Procura a febbraio scorso a firma dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, infatti, la presenza di cesio viene riscontrata con valori significativi soltanto in superficie. Ma non nel sottosuolo come invece era stato segnalato dai tecnici della Procura. Ancora combinazioni. Maledette combinazioni che, secondo l’Ispra, portano a far concentrare in maniera massiccia il cesio 137 proveniente probabilmente da Chernobyl proprio nella vallata dell’Oliva. La stessa area di cui si sospetta da anni che sia stata utilizzata come sito di smaltimento illecito di materiale radioattivo e tossico. Ed a pochi chilometri di distanza, il 14 dicembre del 1990 la motonave Rosso, tristemente nota con la precedente denominazione di Jolly Rosso per il traffico di sostanze tossico-nocive provenienti dal Libano, si spiaggiò in circostanze non ancora del tutto chiarite. Combinazioni.

Tante combinazioni che non permettono di ricomporre, ancora una volta nella sua interezza, quel puzzle così pazientemente ricostruito finora dal procuratore Giordano. «Stiamo valutando tutti gli elementi emersi dalle indagini - afferma caparbiamente il procuratore capo di Paola – e appena arriveranno le conclusioni finali dell’Ispra cercheremo di sciogliere tutti i nodi e ci determineremo sul da farsi». Al vaglio della Procura, non bisogna dimenticare, c’è anche la gravissima contaminazione da metalli pesanti riscontrata nelle acque e nei terreni della vallata dell’Oliva. Le analisi effettuate dai tecnici dell’Arpa Calabria e validata dall’Ispra confermano la tesi. I dati emersi dalle indagini effettuate nel 2010 su 100 carotaggi di terreni lungo l’Oliva e dall’esame dei valori di 35 piezometri piazzati nelle acque del torrente sono sconcertanti: non meno di centomila metri cubi di fanghi industriali la cui provenienza, vista la caratteristica e la mole, secondo la Procura, non può essere locale. Si tratta per lo più di arsenico (riscontrato con valori fino a 10 volte superiori alla norma), cromo, nickel, antimonio, zinco e cobalto. Ma anche idrocarburi, cadmio, cromo esavalente e rame. Tutte sostanze riscontrate in quantità almeno tre volte superiore ai limiti di legge nei sottosuoli dell’intera zona. Un inquinamento che non ha risparmiato le falde acquifere dell’Oliva. Una contaminazione così alta da costringere la stessa Procura a far sigillare, negli anni, almeno una dozzina di pozzi di raccolta dell’acqua provenienti dall’alveo del fiume ed utilizzati per anni in agricoltura e nell’allevamento, anche industriale, di animali della zona. Dunque, una sorta di pattumiera a cielo aperto, la vallata dell’Oliva, utilizzata per smaltire rifiuti di ogni genere che, al di là delle responsabilità penali tutte ancora da accertare, pone ora prepotentemente il problema della bonifica. «La Procura – conclude Giordano – ha fatto tutto quello che era nelle sue possibilità per accertare i fatti accaduti nell’Oliva. Forse anche oltre le sue competenze. Sarà, comunque, necessario intercettare tutte le risorse utili a bonificare l’intera area».

 

Fonte: ”CORRIERE DELLA CALABRIA” 23 giugno 2011

Roberto De Santo

30/07/2011
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