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![]() Fermi, sessantatre anni fa iniziava una nuova era
La catasta delle mattonelle di grafite purissima aveva già raggiunto i cinque metri di altezza e nel suo "cuore" erano già racchiusi i cilindri di uranio; non restava che estrarre le ultime aste di cadmio per dare il via alla fase critica: la pila si sarebbe accesa e avrebbe cominciato a funzionare. Il ticchettio impazzito dei contatori Geiger avrebbe annunciato l'inizio della reazione a catena. Verso mezzogiorno Fermi fece spostare leggermente indietro l'ultima "asta di controllo" ma appena i contatori presero a sussultare ordinò di rimetterla a posto e annunciò che era l'ora di andare a colazione. Tutti avevano rifatto i loro calcoli e avevano concluso che non ci sarebbero state sorprese, ma era meglio procedere con calma. Dopo la sosta tutti ripresero il loro posto e si ricominciò. Alle 15 e 20 Fermi si volse verso gli "spettatori" e guardando Mr Greenewalt spiegò: "Adesso mostreremo sul serio come si produce la reazione a catena. Farò estrarre la sbarra di un altro paio centimetri . A questo punto i contatori cominceranno subito a salire finché non darò l'ordine di stop". Si volse all'operatore e disse: "George, questa è la volta buona. Tira fuori l'asta di un piede". Subito i contatori Geiger cominciarono a ticchettare, prima lentamente poi con ritmo sempre più accelerato e infine a velocità frenetica. Benché nessuno tra gli scienziati presenti mostrasse sorpresa per quello che stava accadendo, una certa tensione si creò nel laboratorio: dopo tutto ci si stava avventurando in un terreno inesplorato. Dopo venti minuti Fermi fece reinserire le sbarre e tutti si sentirono più sollevati perché i contatori smisero di ticchettare. Allora ci furono delle strette di mano e fu spiegato a Mr Greenewalt che l'esperimento era finito. Il professor Eugene Wigner, che veniva da Princeton, tirò fuori un fiasco di Chianti e alcuni bicchierini di carta: tutti bevvero due dita di vino e firmarono il fiasco. Subito dopo Arthur Compton, il direttore dei laboratori di Chicago, telefonò a un collega dell'università di Harvard. Disse: "Il navigatore italiano è arrivato nel nuovo mondo". Sebbene il codice fosse stato improvvisato lì per lì da Compton, l'altro comprese al volo e domandò, ansioso: "E gli indigeni come sono stati?" La risposta fu: "Molto cordiali". L'industriale Greenewalt salutò tutti e si allontanò in macchina. Disse di essere stato impressionato dall'abilità di Fermi, e questo dimostra che lo scienziato aveva saputo drammatizzare uno "spettacolo" altrimenti incomprensibile per un profano. Per il momento il mondo ignorò di essere entrato in una nuova era e i giornali continuarono a parlare degli scontri in Tunisia, della battaglia di Guadalcanal, dei tedeschi accerchiati a Stalingrado, ma della grande vittoria del "navigatore italiano" nessuno seppe nulla. Enrico Fermi aveva abbandonato l'Italia quattro anni prima, tra l'indifferenza generale. Nessuno gli aveva chiesto di lasciare l'università di Roma, ma a farlo decidere erano state le leggi razziali, dal momento che egli aveva una moglie ebrea. A espatriare l'aiutò una felice circostanza: l'invito a recarsi a Stoccolma per ritirare il premio Nobel che gli era stato assegnato per la fisica. Nessuno sapeva che aveva deciso di non tornare in patria ad eccezione di pochissimi amici intimi: a salutarlo alla stazione c'erano soltanto loro. a cura di: D. Amendola02/12/2005 |
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