PATTI LATERANENSI
L'attacco confessionale oltre il Concordato
Nicola Fiorita
Proprio in questi giorni in cui i pronunciamenti delle gerarchie ecclesiastiche e le decisioni del governo tornano a dividere le coscienze e ad alzare il livello dello scontro sulla laicità dello Stato e sul futuro della democrazia italiana, la storia ci consegna due ricorrenze particolarmente significative.
Cadono oggi gli ottanta anni dalla firma dei Patti Lateranensi, mentre il 18 febbraio si celebreranno, con un convegno a Palazzo Montecitorio, i venticinque anni del Concordato di Villa Madama. Nessun paragone è possibile tra il contenuto dei due testi - rappresentando, il primo, la compiuta realizzazione di una visione totalitaria e confessionista dello Stato e abbozzando, il secondo, il tentativo di adeguare quell'impianto ai nuovi principi costituzionali - eppure essi appaiono sorretti da un'identica idea di fondo: l'idea che la «questione cattolica» possa trovare soluzione soltanto attraverso un accordo concluso dalle rispettive rappresentanze apicali. Le vicende di questi giorni, le tensioni continue, il conflitto permanente tra società civile e gerarchie ecclesiastiche dimostrano che quella convinzione era irrimediabilmente sbagliata e che la pace religiosa non è garantita di per sé dallo strumento concordatario. Il Concordato non basta, il Concordato non serve.
Certo, il Concordato ha perso oggi molto del suo disvalore simbolico, la conclusione di numerosi accordi tra lo Stato e altre confessioni religiose ha stemperato il suo portato privilegiario, ma esso non cessa di essere fonte di diseguaglianze e di commistioni. Dal punto di vista sistemico, la perdurante mancanza di una legge generale sulla libertà religiosa e il rifiuto di coinvolgere nel processo di produzione bilaterale delle norme le più numerose confessioni di minoranza del nostro paese (a partire dall'Islam) e le organizzazioni ateistiche inficia buona parte del processo di riforma iniziato nel 1984; dal punto di vista contenutistico, il nuovo Concordato continua a prevedere istituti giuridici fortemente discutibili. L'irrazionale sistema di finanziamento basato sull'otto per mille che determina flussi economici esorbitanti in favore della Chiesa, la disciplina matrimoniale con i suoi punti oscuri che hanno attirato l'attenzione della Corte europea dei diritti dell'uomo e l'insegnamento della religione cattolica nella scuola pubblica rappresentano le principali anomalie introdotte e legittimate dal Concordato.
Eppure deve ammettersi che in questi ultimi anni le lesioni più significative al principio di laicità dello Stato si sono realizzate fuori dal Concordato, se non addirittura contro di esso. Provvedimenti abnormi come quello che inserisce nell'apparato statale gli insegnanti di religioni o come quelli che dispongono finanziamenti a pioggia per gli oratori, sentenze irragionevoli che legittimano la presenza del crocefisso nelle scuole, condizionamenti espliciti nell'iter di formazione della legislazione italiana come nel caso dei Dico o di Eluana Englaro, finanche quella ridda di inviti all'obiezione di coscienza per medici, farmacisti e giudici cattolici non trovano legittimazione né riparo nella normativa concordataria. Di fronte agli strappi che ognuna di queste vicende ha prodotto rispetto a principi fondamentali del nostro ordinamento, la politica si è rivelata inerme, remissiva, quando non complice interessata. Ma anche la giurisprudenza non ha brillato per coerenza e coraggio. In special modo, le prudenze eccessive della Corte Costituzionale, il suo trincerarsi in questioni tecniche e in dichiarazioni di incompetenza, hanno agevolato la controriforma confessionista che si dipana davanti ai nostri occhi.
Ma in una società moderna e complessa la pace religiosa, la serena convivenza tra non credenti e credenti (e tra credenti delle diverse fedi), non può passare dall'imposizione delle esigenze, degli interessi e dei valori di una parte all'intera collettività e neppure per la stretta di mano tra uomini incautamente scelti dalla Provvidenza, potendo al contrario essere assicurata solo dalla laicità dello Stato. Ci vogliono dosi massicce di laicità per arrestare la bulimia di questa Chiesa cattolica e per preservare quel pluralismo così necessario a ogni democrazia. Da questo punto di vista più che interrogarsi sul senso del nuovo o del vecchio Concordato, nei prossimi giorni occorrerà monitorare con attenzione le mosse della Corte Costituzionale, ormai prossima a decidere sulla questione di legittimità dei finanziamenti statali in favore delle scuole private. La Corte ha l'occasione di affermare in maniera chiara quello che da sempre appare come un meschino aggiramento del disposto dell'art. 33 della Costituzione, che vieta indiscutibilmente ogni contributo statale in favore di queste scuole.
Una pronuncia limpida e coraggiosa restituirebbe fiducia nel diritto dello Stato e fisserebbe un ostacolo robusto ai tentativi più o meno striscianti di riportare le lancette della storia a quell'11 febbraio 1929, quando Mussolini, in cambio della legittimazione politica che gli serviva, cedeva a ogni richiesta della chiesa cattolica e ne faceva la confessione dello Stato italiano.
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