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L’Argentina a 30 anni dal Golpe

24 marzo 1976 – 24 marzo 2006, l’Argentina a 30 anni dal Golpe

l’Argentina a 30 anni dal GolpeL’HANNO chiamata la notte dell’Argentina. E tale è stata dal quel 24 marzo 1976 in cui avviene il Golpe che rovescia il governo di Isabel Martínez de Perón. Da allora sono passati 6 lustri, l’Argentina è ritornata alla democrazia, ma ancora le ferite aperte sono tante e dolorose.

Oggi si parla di 30 mila desaparecidos (il 30% di origine italiana), 2.300 omicidi politici e oltre 10.000 arresti politici che la cosiddetta Guerra Sporca provocò. Ma anche tante - 250 secondo i dati del rapporto Nunca Mas stilato dalla commissione presieduta dallo scrittore Ernesto Sabato - furono le “vite rubate”, ossia tutti quei bambini che furono portati via ai genitori desaparecidos. O forse 500, come affermano le Abuelas de Plaza de Mayo. A tutt’oggi sono solo 72 los Hijos ritrovati. Ma le nonne di Plaza de Mayo, con la costituzione della Banca Nazionale Genetica, sperano di ritrovare anche gli altri.

La situazione argentina precedente al 1976 che aveva generato il Golpe era di forte crisi. Nell’ottobre 1973, Peròn era ritornato al potere dopo che nel ‘55 i militari avevano messo fine al suo governo dando vita ad una lunga dittatura militare, intervallata da governi costituzionali. Tuttavia, i molti conflitti tra le diverse fazioni sostenitrici di destra e di sinistra del regime peronista, e la successiva morte del presidente avvenuta il primo luglio 1974, oltre che la oramai drammatica situazione di un paese sull’orlo di un collasso economico e politico (si pensi per esempio all’inflazione aveva superato il 700% o al terrore della triplice A, l’Alleanza Anticomunista Argentina creata da Lòpez Rega), fanno precipitare il paese in una dittatura che durerà sino al 1983.

Per il generale dell’Esercito Videla e la sua Junta (l’ammiraglio Massera ed il brigadiere dell’Aviazione Agosti) – che deposero Isabelita, vedova di Juan Domingo - l'obiettivo da perseguire era chiaro: la riorganizzazione nazionale. Dovevano salvare l’Argentina da “sovversione e caos comunista”, secondo i principi della Dottrina di sicurezza nazionale “a cui le forze armate sudamericane si ispiravano in quegli anni di convulsioni e guerriglie filocastriste e filoguevariste”. Non sarà un colpo di stato palesemente violento come lo era stato nel ’73 quello in Cile di Pinochet; e nemmeno ebbe all’inizio molta attenzione sulla stampa internazionale ed italiana. La drammaticità del problema desaparecidos, in Italia, venne alla luce pienamente quando nel 1982 il Corriere delle Sera pubblica i nomi degli scomparsi. Così anche il governo italiano prende le distanze e si apre una fase in cui l’Italia apre un contenzioso sugli scomparsi di origine italiana.

Dunque, in Argentina, diversamente dal vicino Cile, si adottò una “strategia rivoluzionaria”. Non arresti di massa o fucilazioni, sebbene fosse subito proclamata la legge marziale, ma sequestri illegali, torture e infine l’eliminazione fisica.

Quando nel 1983 finisce l’incubo e viene eletto presidente Raúl Alfonsín, verrà aperta subito un'inchiesta sulle atrocità dei regimi militari. Purtroppo però, non ci furono le condizioni per andare sino in fondo e assicurare alla giustizia tutti i militari colpevoli di quel genocidio. Per la grave situazione economica del paese che minacciava sempre il ritorno dei militari, Alfonsìn fu costretto a cancellare le atrocità del passato con le leggi conosciute come "obediencia debida" e "punto final", che - di fatto - scagionavano e amnistiavano i militari da ogni crimine commesso. In ogni modo, il Generale Videla fu processato e condannato all'ergastolo. Anche se nel 1990 il Presidente Carlos Menem, sempre su pressione degli apparati militari, gli concesse l'indulto insieme ad altri membri delle giunte militari. Attualmente il generale ottantenne è agli arresti domiciliari con l’accusa di aver sequestrato minori durante la Guerra sporca.

Tra i desaparecidos, come si è detto, c’erano tanti italiani. E tra questi, anche calabresi. Come Angela Aieta, Giovanni Pegoraro e sua figlia Susanna. Per difendere la memoria di questi innocenti, come si ricorderà, la Regione Calabria ha deciso qualche mese fa di costituirsi parte civile nel processo che si sta celebrando a Roma e che vede sotto accusa 6 militari argentini golpisti, responsabili della loro morte.

Bruno Pino
24/03/2006
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