di Franco Pedatella
Il componimento è stato scritto quando la tutela dei diritti, della salute, della dignità, della libertà, direi dell’umanità, del lavoratore è stata definita, da parte padronale e governativa, un privilegio. Viene definito privilegio il fondamentale diritto al lavoro, che poi è diritto alla vita ed alla partecipazione all’organizzazione sociale, civile, economica e politica del Paese da parte di tutti i cittadini, come viene enunciato nel primo articolo della Costituzione Repubblicana e precisato in quelli successivi. Mi è sembrato di trovarmi di fronte ad un capovolgimento dei valori, ad una specie di rovesciamento della storia e della civiltà, senza che questo abbia suscitato un sussulto di sacro sdegno in tutti coloro che sono in grado d’intendere e di volere.
Privilegiato sei!
(I privilegi)
Tu, che col freddo intenso o sotto il sole
cocente di canicola coltivi
la dura terra avara e del suo frutto
ben poco prendi, ch’altro è del padrone,
privilegiato sei, ché hai il lavoro!
Tu, che alla catena di montaggio
compi infiniti gesti, tutti uguali,
e li ripeti pure fuor d’azienda,
fin quando dormi par li fai a comando,
privilegiato sei, ché hai il lavoro!
Tu, che profonde scavi gallerie
e vivi la gran parte di tua vita
sotto gli abissi di tartarea terra
che tienti al buio e il sol ti nega agli occhi,
privilegiato sei, ché hai il lavoro!
Tu, che trascorri gli anni in fonderia
e guardi solo masse di metallo
incandescenti sciogliersi e versarsi
in stampi e sparger acidi e calore,
privilegiato sei, ché hai il lavoro!
Tu, che in miniera vivi come talpa
e v’entri a mane e fino a notte i’ resti
ed il sereno non conosci e ignori
lo svolazzare degli uccelli in festa,
privilegiato sei, ché hai il lavoro!
Tu, che dopo una vita di fatica
una pensione percepisci, scarna,
ché non v’è chi t’impieghi perché, lento,
regger non puoi a produzion globale,
privilegiato sei, ché hai lavorato!
Invece quei che su fornite navi
trecento giorni all’anno sta in crociera
e il resto siede in riverite scranne
fingendo di operare e mille servi
gli stanno intorno a prendere comandi;
e quelli che non han capienti tasche
a metterci il denaro mal ghermito,
che spender poi, ahimè, è grande affanno,
pretendono di tôrre i privilegi
a quelli che s’affannano a produrre
ricchezza a lor e scambian le parole
mutando il suono e il senso delle frasi
sí che chi deve dare invece prende
e quei che prender deve invece dona.
Amico, sembra un giuoco di parole,
invece è dura, amara realtà:
sudar, venir sfruttato è privilegio,
curarsi, se infermo, è privilegio,
avere il dí festivo la domenica
e riposar, se stanco, è privilegio.
E se, a lavoro fatto fido e pronto,
al tuo padron val bene licenziarti
e forze assumer nuove e braccia fresche,
perché le tue succhiate ha come un uovo,
non val che la tua vita sia distrutta
per lui; deve poter buttarti fuori
senza di legge straccio a tua difesa,
che ti protegga dalla belva umana.
Il non poter buttarti in strada pronto,
il non poterti fare schiavo a pieno,
togliendoti la consapevolezza
che il sei, e in te annullar coscienza d’uomo,
non esser merce, questo è il privilegio.
Un giorno eran diritti conquistati
dopo millenni di cruente lotte
avverso all’arroganza dei potenti.
Oggi nel nostro mondo capovolto,
mutato il suono e il senso alle parole,
il povero divien privilegiato
e il ricco a sé la libertà reclama
di dare o tôrre al povero il lavoro
secondo l’esclusivo suo interesse,
che a nulla che a suo lucro è sottoposto.
Che importa, poi, se quei con la famiglia,
ancora pigolante, sotto un ponte
finisce o in marciapiede a tender timida
la mano a viso basso e tremebonda,
ché non adusa, ad aspettar tintinno
da mano amica, cui quel che ha è bastante?
L’articolo diciotto, che protegge
il tuo diritto d’essere soggetto
e non oggetto dell’altrui volere,
donando dignità al tuo lavoro,
è un privilegio, anzi è il privilegio.
Così lo definiscono i signori.
Cleto, 13 marzo 2012
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