Il verbo greco αγοραζω ( agoràzo ) non ha un preciso corrispettivo nè nella lingua italiana, nè in quella latina. Se lo traduciamo con l’espressione generica di “stare in piazza“ non delimitiamo lo stesso campo semantico del verbo greco e non gli rendiamo ragione. Tucidide lo usa nel senso di “prendere parte ai pubblici affari“. Aristotele lo intende come un “vagabondare in piazza“. Ma il senso aristotelico del vagabondare non è un oziare passivo. È piuttosto un gironzolare quà e là nel senso socratico – platonico per conoscere ciò che si dice o si fa o si pensa in piazza. In questo senso è possibile prendere parte ai pubbici affari.
Ad Aiello, come in altri paesi simili, la piazza è il centro della vita. In piazza ci si incontra senza darsi appuntamento, si fanno e si disfano amicizie, ci si tiene aggiornati su quanto succede, a volte si discutono e si prendono decisioni politiche. In piazza semplicemente si è. Tanto che di una persona che non si vede in piazza si dice che non c’è. Alla domanda “cosa fai ?“ uno può rispondere “sono in piazza“. Suggella in questo modo l’identità tra essere e fare distrutta dalla civiltà rinascimentale ed industriale ed a cui la cultura dell’antica Grecia è stata sempre legata. Un’attività commerciale che non è in piazza o nelle immediate vicinanze semplicemente non è. Tutto ciò e tanto altro ancora combacia col modo di essere della prima πολισ ( pòlis ) greca. Questa identità culturale si riflette chiaramente nella sfera linguistica ed il nostro dialetto ci presenta la traduzione di quel verbo greco con la parola "chiazziare".
Esaminiamo brevemente due verbi particolari del nostro dialetto: “ruozzulare“ ed “aschare“ ( si scrive cosi ? ). Anche in questo caso la lingia italiana , per dirla con Dante, non ci “offre parole aspre e chiocce“ per distinguere il diverso campo semantico che i due verbi racchiudono e molto sbrigativamente li rende col verbo “trovare“ , termine generico e freddo scarsamente usato in letteratura per la povertà semantica che racchiude. Col primo termine, che ha anche un’origine onomatopeica, si vuole indicare una ricerca affannosa o disperata di un qualcosa che si sa che c’è ma non si sa dove è. L’affanno e la nevrosi ci portano, in questo caso, a disordinare tutto ciò che ci capita sotto mano. Anzi si pretende di concludere la ricerca non come risultato della sistemazione e della razionalizzazione, ma come conseguenza del disordine di tutto quanto ci circonda. Potremmo intendere il verbo “ruozzulare“ come un “mettere sotto sopra“. Con la parola “aschare“ si vuole indicare un qualcosa che viene trovato senza essere cercato. Il ritrovamento, ora, è casuale e non è preceduto da un’intenzione o meglio da un pensiero. Mi piace fare notare che in questo caso si può dire che è il pensiero a fare la differenza. In altre occasioni “aschare“ significa cercare un qualcosa senza disturbare la disposizione degli oggetti circostanti. La ricerca è quindi senza nevrosi e presuppone la razionalità. Tutta questa ricchezza semantica che non trova soddisfazione nella lingua italiana la possiamo trovare nella lingua latina attraverso il significato dei verbi “reperio“ ed “invenio“. Quest’ultimo ci rimanda al verbo greco ινγιγνο (ingìigno). Ma lo spazio che ho a disposizione è troppo breve per mostrare questa meraviglia e chiedo di essere creduto sulla parola.
La nostra parola “catuoiu“ viene resa in italiano col termine “sottoscala“. Ma è un termine così freddo che lo troviamo solo nelle agenzie immobiliari e negli atti notarili che non brillano per il gusto letterario. La parola greca κατα – οικια ( catoichìa ) indica un’abitazione più piccola e più povera costruita a fianco della casa padronale dove la servitù abitava insieme agli animali di casa ( galline, maiali, mucche, cavalli ). Nell’Odissea, Omero fa abitare il pastore Eumeo nella catoichìa. Voglio ricordare che ad Aiello fino a non moltissimi anni addietro la gente abitava in case, a volte, con gli animali citati.
In una delle manifestazioni estive attorno alle origini della nostra parlata dialettale qualcuno chiese da dove potesse derivare il verbo “ammucciare“. Ma non ne ottenne risposta. Anche in questo caso il corrispettivo italiano “nascondere“ non copre la pregnanza semantica della parola dialettale. In greco chi o ciò che si nasconde viene reso con λανθανο ( lantàno ) che significa “mi nascondo“. Ma non è la stessa cosa di “m’ammucciu“. Λαντανο viene usato quando chi si nasconde non intende più apparire alla luce ed il mistero lo copre per l’etarnità. Invece “chine s’ammucce“ è come se volesse rintanarsi provvisoriamente in un cantuccio per appartarsi e solo in seguito un poco per volta venire alla luce. Il gioco della “ammucciatella“ chiarisce questo senso e l’esatta corrispondenza nella lingua greca la troviamo col verbo μυω ( muo ) che si può tradurre solo col dialetto “m’ammucciu“.
Il discorso potrebbe continuare ad libitum ma voglio sospendere perchè non intendo approfittare della pazienza di chi è riuscito a leggermi fino a questo punto.
Le fotografie che vengono presentate riproducono chiaramente un’ampolla funeraria e votiva. È la dimostrazione tangibile che nel nostro territorio esisteva un sito greco. Se sono stati trovati i morti è segno che in precedenza c’erano i vivi. Su una delle ampolle con uno stilo sottilissimo è stata ricavata una scritta, abrasa dal tempo. Ma con un pò di pazienza ed intelligenza si legge la scritta ορων ( òron ). La parola greca ορων oppure ορον in un primo momento stava ad indicare il ceppo di legno o di pietra che delimitava il confine tra un podere ed un altro. Non fu difficile passare dal concetto di confine a quello di limite ultimo non più valicabile. Il campo semantico si allargò ed infine il commediogarfo Luciano usò la parola nel senso di “ultima ora“. Nello stesso senso quando si avvicina la morte noi diciamo “ie ll’ura“ che è la esatta traduzione della parola greca incisa.
Ho cercato di mostrare che se vogliamo cercare le origini di Aiello nel medioevo, come spesso da più parti si suole indicare, allora tra la nostra parlata e quella, tra la nostra cultura e quella, molte volte c’è uno iato. Forse è il caso di guardare più indietro nel tempo e scoprire che gli aiellesi sono figli dei greci.