La sera di venerdì 30 ottobre, l'emittente calabrese Telespazio trasmette una puntata davvero speciale del talk show "Perfidia". In studio, c'è un gruppo di pescatori della costa tirrenica per parlare dei fondi a loro sostegno, dopo il crollo delle vendite dovuto al caso "navi dei veleni". Uno dei pescatori, Franco, non è però d'accordo. Ha saputo che il giorno prima, nel corso di una conferenza stampa, il ministro dell'Ambiente Stefania Prestigiacomo e il procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, hanno tranquillizzato tutti: «Il caso è chiuso», ha detto Grasso. La nave di cui il mondo intero ha parlato, a 480 metri di profondità nelle acque davanti a Cetraro, non è la pericolosa Cunski affondata dal pentito Francesco Fonti. «Si tratta del piroscafo Catania», ha spiegato Prestigiacomo, «costruito a Palermo nel 1906 e silurato il 16 marzo 1917 da un sommergibile tedesco ». Risultato: a bordo non ci sono fusti radioattivi, anzi la stiva è vuota e non c'è rischio per la popolazione.
I pescatori, Franco compreso, dovrebbero sentirsi sollevati: fine della paura, riprende la pesca. Invece no. Franco s'infuria e urla: «Negli anni Novanta c'erano sei o sette pescherecci a Cetraro, e due sono andati (quella notte con Fonti) a mettere la dinamite!». A questo punto, nello studio scende il gelo. Gli altri pescatori sono spiazzati ma lui continua, invitando la magistratura a indagare, «a mettere sotto torchio» chi andava per mare in quel periodo.
Il giorno dopo, la cassetta del programma viene acquisita dal procuratore capo di Paola Bruno Giordano. Intanto monta l'angoscia del pescatore Franco, isolato da colleghi e parenti. «La verità non interessa a nessuno», si lamenta con un cronista.
E non è l'unico, in Calabria, a pensarla così. Nei giorni scorsi, il deputato Franco Laratta (Pd) si è definito «sconcertato» dalla situazione. Di più: ha sollevato il dubbio che «qualcuno ci stia prendendo in giro, con depistaggi e mezze verità» tra «notizie parziali, fatti contraddittori ed eventi prima affermati e poi negati nelle e fra le istituzioni». Una sequenza di stranezze che parte il mattino del 27 ottobre, quando il procuratore Grasso si presenta alla commissione parlamentare Antimafia e dice: «Proprio stamane, mi è stato comunicato che gli ultimi riscontri non danno la certezza che si tratti proprio della Cunski, anche se il castello sembra essere compatibile con l'indicazione che viene da Fonti». L'altra ipotesi in campo, aggiunge, «è che si tratti del piroscafo Cagliari», affondato a inizio anni Quaranta.
Tutto chiaro? Al contrario. Passano poche ore, e alle 12,56 l'agenzia Adnkronos batte una nota del ministro Prestigiacomo: «Il relitto al largo di Cetraro non corrisponde alle caratteristiche della Cunski. Il Rov, il robot sottomarino, ha già svolto le misurazioni e i rilievi fotografici del relitto». Detto questo, le indagini continueranno «con il prelievo di sedimenti dai fondali, carotaggi in profondità e prelievi di campioni dai fusti». Informazioni nette, inequivocabili.
Che vengono smentite, però, alle 13,12: un quarto d'ora dopo. «Finora abbiamo fatto solo esplorazioni acustiche », affermano i proprietari della nave Mare Oceano (che sta svolgendo le analisi a Cetraro, e che risulta dell'armatore Diego Attanasio, coinvolto dall'avvocato David Mills nel processo in cui è stato condannato per aver mentito su Silvio Berlusconi in cambio di denaro). «Il Rov», aggiunge la Geolab, «farà altre esplorazioni acustiche e poi quelle visive. Non ci sentiamo di dire con certezza che quella possa o non possa essere la nave Cunski: per noi è ancora troppo presto».
Com'è possibile tanta confusione? Perché il procuratore Grasso si sbilancia a indicare all'Antimafia il nome di un relitto sbagliato? E perché il ministro Prestigiacomo parla di rilievi avvenuti, se chi li compie deve ancora iniziare?
Difficile capirlo. Come difficili da interpretare sono le altre sfasature di questa storia. A partire dalle caratteristiche della nave Catania, che stridono con i rilievi svolti sul relitto scoperto il 12 settembre al largo di Cetraro. In quell'occasione fu calcolata una lunghezza tra i 110 e i 120 metri, una larghezza di circa 20 e un'altezza di fiancata attorno ai 10. Ora, invece, basta iscriversi al sito sui disastri navali
www.wrecksite.eu, per verificare che la Catania è lunga 95,8 metri, larga 13 e alta 5,5 (dati confermati anche dal sitowww.uboat.net e dal sito www.miramarshipindex.org.nz di Rodger Haworth, per mezzo secolo membro della World ship society). Insomma i numeri non quadrano: nemmeno con la conferenza stampa del 29, dove viene indicata una lunghezza di 103 metri.
Utile sarebbe, con queste premesse, sentire la versione del ministro Prestigiacomo, ma la richiesta di un'intervista cade nel vuoto. Ed è un peccato, perché c'è un altro elemento cruciale, che andrebbe chiarito. Nel senso che non coincidono il punto dove a settembre è stato individuato il relitto della presunta Cunski (latitudine 39º28'50"N, longitudine 15º41'E) e quello più a nord dov'è affondata nel 1917 la Catania (secondo tutte le fonti accessibili, latitudine 39º 32'N e longitudine 15º 42').
I rilevamenti sul relitto al largo di Cetraro Lo scarto è di 3 miglia e mezzo: «Considerevole », dicono gli esperti: «Tanto da escludere una repentina deriva, causa correnti, nella discesa verso il fondo». Il sospetto, sussurrato da alcuni investigatori, è che il profilo della Catania non combaci con quello del relitto trovato a settembre. E ancora peggio: che qualcosa non convinca nelle comunicazioni della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, responsabile dell'inchiesta sulle navi dei veleni. Nella conferenza stampa del 29 ottobre, infatti, il vice procuratore Giuseppe Borrelli ha detto che «la stiva della nave» al largo di Cetraro era «vuota». Ma Pippo Arena, titolare della società Arena Sub e pilota del Rov nella prima ispezione alla presunta Cunski, lo smentisce: «La nave che ho ispezionato io aveva due stive. Ed erano piene, tanto che un pesce cercava di entrare e non riusciva».
Cos'ha provocato l'assoluta discrepanza tra il ricordo del pilota e le affermazioni del vice procuratore? E come va interpretata l'altra uscita della Dda di Catanzaro, pubblicata dal "Quotidiano della Calabria"? Stavolta a parlare è il procuratore capo Vincenzo Antonio Lombardo, il quale racconta che attorno alla nave c'era «una folta vegetazione» oltre a vari pesci. «Lo abbiamo visto dalle immagini (...). Ci fosse stata radioattività, tutto questo non sarebbe stato presente. La radioattività, infatti, provoca una forma di desertificazione ». Parole rassicuranti, quelle di Lombardo, perfette per placare la rabbia della popolazione locale.
Ma non condivise da Roberto Danovaro, ordinario di Biologia marina all'Università politecnica delle Marche: «È impossibile che il relitto, a quasi 500 metri di profondità, sia coperto da vegetazione», assicura: «A quella profondità, la mancanza di luce impedisce la vita di alghe o piante marine».
Non stupisce, dopo queste parole, che il consigliere calabrese Maurizio Feraudo (Idv) abbia lanciato l'ipotesi di un «colossale depistaggio». E che il Wwf scriva al ministro Prestigiacomo e al procuratore Grasso per chiedere «una perizia comparata tra il video del Rov incaricato da Regione e Arpacal (a settembre), e quello «della nave incaricata dal ministero dell'Ambiente (che ha smentito il pericolo, ndr)». Sicuramente tutto risulterà perfetto, ma al momento niente torna.
Fonte: espresso.repubblica.it/dettaglio/una-nave-e-mille-misteri/2113913//0