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L’embrione è una persona?

Le questioni legate all’utilizzo delle tecniche terapeutiche e della ricerca scientifica, volte a migliorare le condizioni di procreazione insieme alla qualità della vita delle persone, occupano straordinaria attualità e portano ad un veemente confronto di idee. Il dibattito, tuttavia, non riguarda solo la cerchia erudita della comunità scientifica ma trova banco in ugual misura presso sedi tradizionalmente estranee alla mera discussione biologica. Questo accade perché le questioni in oggetto rivestono profondo valore etico e sociale e la soluzione delle controversie non è sufficientemente chiara e identificabile. Si parla di vita, di embrioni e di esseri umani e il punto cruciale, che sta alla base delle controversie, risiede nel determinare cos’è vita, cosa è un embrione, cosa è un essere umano, quali relazioni intercorrono tra queste tre entità e se è giusto limitare la ricerca scientifica e le sue applicazioni cliniche e terapeutiche in questi settori.

Che l’embrione sia vita è fuori discussione: è vita tutto ciò che può nascere, evolvere e morire seguendo un suo ciclo biologico. E’ vita anche lo spermatozoo, l’ovocita, qualsiasi cellula, virus e batterio. In particolare l’embrione, lo spermatozoo e l’ovocita sono esempi di vita umana, come è vita umana qualsiasi cellula della cute, in quanto corredata dalle sequenze genetiche della specie umana.

E’ chiaro che il problema è dire se un embrione è o non è una persona, almeno potenziale. Ognuno ha una percezione diversa nel considerare persona una vita umana, e questo dipende dallo stato di sviluppo in cui essa si trova. Il materiale biologico che viene comunemente chiamato embrione non ha – prima dell’impianto e per molto tempo ancora dopo di esso – alcuna caratteristica visibile che lo renda distinguibile da un embrione di topo o di una mucca, mentre tutti siamo capaci di distinguere un vitello da un topolino o da un neonato. Un embrione non diventerà mai una persona se non si evolverà in un ambiente opportuno quale l’utero di una donna e se non riceverà tutti le sostanze nutritive di cui ha bisogno. In Natura, dopo la fusione dei due pronuclei, si ha un impianto con una probabilità compresa tra il 20 e il 35 percento. Si intuisce che è la stessa Natura a sancire il fatto che la maggior parte di ciò che la scienza chiama embrioni allo stato precoce non diventerà mai una persona. Se poi consideriamo che esiste la possibilità di utilizzo di metodi intercettivi (come la spirale o la pillola del giorno dopo), che tra l’altro non provoca alla donna lo stesso trauma psico-emotivo che produce al contrario un aborto in fase avanzata, la probabilità che l’embrione diventi una persona è praticamente zero.

Se si considera l’embrione già una persona in essere, anche i metodi intercettivi, usati largamente da moltissimi laici e cattolici non fondamentalisti, dovrebbero essere considerati alla stregua di un omicidio! Invero, riconoscere lo stato giuridico di un embrione non ancora impiantato è una responsabilità assai grave che richiederebbe tra l’altro – come conseguenza logica – l’impiego di una normativa proibizionista sui metodi intercettivi e la condanna dei medici e delle donne che utilizzino tali sistemi.

Ma forse è più giusto distinguere tra un embrione non ancora impiantato ed uno già impiantato nella mucosa uterina, così come è più giusto distinguere un embrione impiantato alla 8a settimana da un feto al 7° mese. E’ necessario ristabilire un equilibrio nella scala dei valori etici, collocando su differenti piani uno zigote ed un giovane immobilizzato su una sedia a rotelle.

Stefano Sangiovanni
19/05/2005

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