di Pio G. Sangiovanni
REGIONALI - Che dalle primarie di domenica in Puglia, che hanno confermato in maniera plebiscitaria l'uscente governatore Nichi Vendola candidato alle prossime elezioni regionali di marzo, sia giunta una grande prova di democrazia, è stato riconosciuto da tutte le parti politiche e anche da coloro che, dai vertici del PD, in tutti i modi avevano tentato di evitarle mettendo in atto i vecchi e logori giochi di palazzo. Adesso viene riconosciuta la validità dello strumento delle primarie sia come occasione per determinare scelte così importanti da affidare alla maturità politica e alla libera scelta dei cittadini, che come occasione per dimostrare nei fatti, e non a parole, la volontà di praticare la democrazia dal basso.
È vero, quello che è successo in Puglia domenica scorsa è una grande lezione e una risposta per quanti avrebbero voluto far ritorno alle oscure trame e vecchie pratiche di gestione del potere di decidere le candidature in nome di un machiavellismo ormai improponibile. Certo, il povero Vendola ne ha dovuto sentire di tutto e di più, una vera e propria corsa al discredito senza esclusione di colpi; azione che però, a quanto sembra, invece di indebolirlo, lo ha rafforzato agli occhi dei pugliesi i quali, evidentemente, hanno toccato con mano la positività dell'esperienza di governo regionale degli ultimi 5 anni che, logica avrebbe voluto, venisse riproposta con tutti i necessari e indispensabili correttivi del caso. Ma quello che suscitava un certo fastidio in tutta la vicenda, non era tanto il fatto che si prospettassero ipotesi di accordi e di candidature alternative a quella del governatore uscente, ma era piuttosto quello di voler evitare le primarie, scavalcando una delle regole democratiche fondamentali su cui si è costruito il Partito Democratico, mettendo in atto una manfrina assolutamente inaccettabile.
Ammirevole è stata la resistenza e la determinazione di Vendola che ha risposto colpo su colpo portando argomentazioni concrete, dati incontrovertibili che dimostravano come il laboratorio politico e di governo della Puglia, pur con tutti gli errori, avesse segnato una svolta importante nella storia di quella regione. Finalmente la parola è tornata, com'era giusto che fosse, ai meglio titolati a decidere e scegliere. La risposta è stata inequivocabile e rappresenta una iniezione di fiducia enorme in vista della scadenza elettorale di marzo, dove si presenterà un candidato forte, autorevole e legittimato da un consenso così ampio.
Lo stesso avremmo voluto si potesse dire per la Calabria dove, purtroppo, sul fronte del centrosinistra si sta assistendo ad una certamente non bella commedia degli inganni, nonostante all'indomani delle primarie che avevano sancito l'elezione a segretario regionale del PD Carlo Guccione, si fosse affermato che quella era la via maestra da seguire anche per la scelta del candidato alla guida del governo regionale. Invece poi tutti abbiamo visto come sono andate le cose: prima le primarie istituzionalizzate sono state revocate, poi quelle tutte interne al PD già fissate per il 17 gennaio e di cui non si è più saputo nulla, e certamente non perché mancavano sfidanti da contrapporre all'uscente Agazio Loiero, che si era speso tanto a sostegno della mozione Bersani e per l'affermazione di Guccione. Non vorrei essere cattivo ma la sensazione è che la ricandidatura di Loiero forse faceva parte del "pacchetto" di accordi precedente le primarie del PD, anche se nessuno sarà mai disponibile ad ammetterlo.
Ma l'altro elemento negativo che emerge da questa situazione, che fa sorgere seri interrogativi sull'autorevolezza e credibilità del gruppo dirigente del PD calabrese, è quella sorta di allergia verso lo strumento delle primarie, prima solennemente promesse e poi clamorosamente rimangiate senza alcuna giustificazione. L'epilogo che si profila in tutta questa vicenda pare sia ormai scritto: Loiero sarà ricandidato ma non per volontà del popolo delle primarie che pure avrebbe potuto sceglierlo, ma per decisione frutto di alchimie e machiavellismi politici degni dei peggiori esempi di un passato che nessuno rimpiange.
Un'ultima cosa a proposito dell'accusa di populismo mossa nei confronti di Nichi Vendola: beh, se questo significa assistere ad una partecipazione massiccia di cittadini, uomini, donne e giovani (ben 200 mila) che hanno liberamente scelto, allora, ben venga il populismo!