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L'acqua non si vende, si firma. Un milione e quattrocentomila firme.

Nessuno aveva mai raggiunto un simile obiettivo che segna un primato nella storia repubblicana.

Un milione e quattrocentomila firme. Nessuno aveva mai raggiunto un simile obiettivo che segna un primato nella storia repubblicana. Lunedì, davanti alla Corte di Cassazione, con gli scatoloni pieni di moduli fra le mani, la soddisfazione grondava dagli occhi felici dei promotori di questa campagna che è partita in sordina, senza nessuna attenzione mediatica e senza nessun supporto organizzativo di un certo rilievo. Un'iniziativa partita "dal basso", come si dice, dalla "società civile". Non c'è nessuna personalità a presenziare il Comitato promotore, solo uomini e donne senza alcun pedigree politico e con tanta passione civica. Gli unici noti, sono i costituzionalisti che hanno redatto i quesiti: figure del calibro di Stefano Rodotà, Ugo Mattei, Gaetano Azzariti. Il resto, cioè il grosso del lavoro, lo hanno fatto centinaia e centinaia di comitati locali, comunali, provinciali e regionali, in grado di mettere per strada migliaia di banchetti per la raccolta firme.
Alle loro spalle c'era solo un'esperienza analoga, la raccolta firme per una legge di iniziativa popolare, avviata nel 2007, che in poco tempo aveva prodotto 400 mila adesioni. E quella avventura aveva motivato i vari comitati, un po' di associazioni, un pezzo della Cgil, i partiti della sinistra radicale, a dare il via alla campagna referendaria. Trovandosi di fronte alla prima sorpresa: la maggior parte dei cittadini che si recava a firmare ripeteva sempre la stessa frase: "Finalmente vi ho trovato". Sapeva, cioè, che esisteva la campagna ma non ne trovava notizia nei grandi quotidiani o nei Tg. Lo scarto tra la consapevolezza e l'informazione ha fatto sì che il Comitato promotore abbia deciso di trasformare il sito www.acquabenecomune.org in una sorta di giornale quotidiano. Perché, come dicono i promotori, "l'avventura è appena cominciata", ora si tratta di raccogliere non più firme, ma voti. Almeno 25 milioni per battere il nemico giurato dei referendum dal 1995 in poi: il mancato quorum. Perché se c'è quorum, il referendum è vinto e allora addio legge Ronchi; addio ipotesi trasformazione in Spa per le società municipalizzate e addio alla quota di profitto, il 7%, che le società private si riservano nella fatturazione delle bollette dell'acqua ai consumatori. La destra ha ovviamente tutto l'interesse che il quorum non venga raggiunto ma anche il Pd ha lasciato intendere che la soluzione preferita è quella dell'astensione magari utilizzando il referendum per cambiare la legge. Ieri intanto si è svolta la presentazione di AcquaLiberaTutti, il Comitato per il No al referendum, che ha visto una promozione trasversale: dai deputati Pdl Cazzola e Della Vedova, a quelli Pd, Sandro Gozi e Antonio Iannamorelli: " Politica e istituzioni locali devono fare un passo indietro rispetto alla gestione ed uno avanti nell'indirizzo e controllo. I referendum, invece, vanno della direzione opposta», la premessa dell'iniziativa antiferendaria.

Dal canto loro, comitati, che hanno rappresentato l'anima di questa campagna, non si aspettano molto dalle forze politiche il cui contributo nella raccolta firme non è stato particolarmente decisivo. Anzi, negli ultimi giorni hanno tenuto banco due notizie, particolarmente irritanti per il "popolo dell'acqua": la decisione del sindaco di Lamezia Terme, Giovanni Speranza, di Sinistra, Ecologia e Libertà, di cedere ai privati il 40% della società idrica municipalizzata e la decisione di un esponente di Sinistra, ecologia e Libertà e uno di Rifondazione comunista, di entrare a far parte del Consiglio di amministrazione della Arin Spa, la società privata, sotto controllo comunale, che gestisce l'acqua a Napoli. Segnali stridenti con lo spirito della campagna, non a caso fortemente biasimati dai Comitati per l'acqua pubblica di Napoli - che proprio ieri ha tenuto una sua conferenza stampa sulla vicenda - e calabrese. I comitati, del resto, non si limitano a raccogliere firme o a prepararsi al referendum ma in molti casi sono impegnati in azioni di resistenza contro le privatizzazioni. Il caso più eclatante è forse quello di Aprilia dove circa settemila famiglie sono vessate dalle bollette di Acqualatina, la cui proprietà è al 49% della multinazionale francese Veolia, con aumenti delle tariffe anche del 300% e perseguono un'autoriduzione di massa che prosegue ormai da diversi anni.
Ora lo sguardo è puntato alla prossima primavera, quando si dovrebbe svolgere il referendum. Prima occorrerà attendere ancora il responso della Corte costituzionale circa l'ammissibilità dei quesiti anche se la loro redazione da parte dei costituzionalisti sopra citati non desta particolari preoccupazioni. Il Comitato promotore intanto chiede al governo di mettere in moratoria la Legge Ronchi fino alla data di svolgimento del referendum ma soprattutto dà appuntamento al prossimo 18 e 19 di settembre, quando, probabilmente a Firenze, si terrà l'assemblea dei movimenti per l'acqua.

Da: il Fatto quotidiano

Salvatore Cannavò
22/07/2010
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