DIVAGAZIONI - Proponiamo, con l'auspicio di sollevare
utili spunti di riflessione, un interessante intervento di Eugenio Scalfari
pubblicato su la Repubblica del 30 settembre 2005.
Tra i tanti problemi che affollano il nostro presente nel mondo e nel paese
in cui viviamo, ce n´è uno che in Italia è particolarmente
avvertito, anzi che è esclusivamente nostro: la questione cattolica.
Dominò la società italiana per quarant´anni, dal 1870 fino
alla fine del "non expedit". Sembrò del tutto risolta, ma nei
modi imperativi propri d´un regime dittatoriale, con il Concordato del
1929. Fu nuovamente assopita con l´inserimento dei patti concordatari
nella Costituzione repubblicana, auspici Dossetti, De Gasperi e Togliatti, nel
1947 e ancor più con la parziale revisione del Concordato dell´85.
Si andò ancor più avanti (o almeno così era parso) con
il dissolvimento della Democrazia cristiana nel ´93 e la fine dell´unità
politica dei cattolici.
Invece proprio dalle ceneri di quell´unità, che aveva affidato
alla Dc il difficile ma non impossibile compito di mediare gli interessi della
Chiesa con quelli dello Stato, la questione cattolica è uscita da una
lunga latenza e si è riproposta con un´intensità nuova e
ancor più pervasiva per il semplice fatto che non riguarda soltanto gli
interessi della Santa Sede e del Vaticano ma anche i valori dei quali la religione
è portatrice, l´etica che ne deriva e i suoi campi d´applicazione
in materie prima trascurate o addirittura inesistenti, prima tra tutte la bioetica
che i progressi della tecnologia hanno portato alla ribalta e che hanno fatto
sorgere nuovi bisogni, nuovi desideri e nuovi diritti chiamando in causa la
legislazione e quindi la politica e, insieme, la religione, la società
civile, lo Stato.
Si fa un gran discutere in questa fase di laicità, di laici e di laicisti
aggiungendo una manciata di biasimo a quest´ultima parola. Se ne discute
facendo anche molta confusione tra credenti e non credenti e – tra i credenti
– quelli che aderiscono alla pratica della liturgia e del catechismo e
quelli che, pur avendo fede in un Dio trascendente e cristiano, non passano
necessariamente attraverso il filtro sacramentale del magistero ecclesiastico
ma cercano di raggiungerlo direttamente e plasmano il proprio sentimento religioso
con l´autonomia d´una propria morale. Questa discussione, confusa
ma fervida, si svolge al di fuori della politica. Prescinde dalla politica.
Riguarda diverse visioni della vita e del senso che essa ha per ciascuno di
noi. Dunque riguarda il nostro privato. Il modo con cui preghiamo o non preghiamo,
crediamo o non crediamo, pecchiamo o non pecchiamo, ci sentiamo colpevoli o
ci assolviamo.
Tutti questi sentimenti, emozioni, credenze e l´antropologia che ne deriva,
non hanno alcuna attinenza con la politica, con le leggi, con le istituzioni.
Le quali invece entrano in gioco solo nel momento in cui la Chiesa, o per esser
più precisi la gerarchia ecclesiastica, usa lo spazio pubblico per introdurre
i suoi orientamenti nelle istituzioni, per conformarle il più possibile
alle sue prescrizioni, per ottenere diritti adeguati allasua visione del mondo
e dei rapporti interpersonali e negare altri diritti che si distacchino da quella
visione.
Qui nasce il conflitto e nel momento in cui esso diventa intenso e permanente
qui nasce la questione cattolica e la sua compatibilità con la democrazia.
* * *
Esistono ancora dei laici fedeli all´ideale cavouriano di "libera
Chiesa in libero Stato" che preferirebbero un regime di netta separazione
tra l´istituzione religiosa e quella civile.
Personalmente mi iscrivo tra questi. Ma debbo chiarire che il regime separatista
(del resto vigente in molti paesi dell´Occidente a cominciare dagli Stati
Uniti) non significa affatto impedire alla Chiesa di utilizzare lo spazio pubblico
per confrontare le proprie visioni e dottrine con altre comunque diverse. Al
contrario: eventuali limiti posti all´uso dello spazio pubblico possono
venire da pattuizioni concordatarie che prevedono sempre uno scambio tra le
parti contraenti.
In un regime di separatismo la Chiesa non ha né privilegi né limitazioni,
salvo quelle previste dai codici e dalle leggi. Si mantiene economicamente con
le risorse ottenute dai suoi fedeli, apre e gestisce le sue scuole private senza
alcun contributo dello Stato e di enti pubblici locali; in compenso è
pienamente libera di predicare e prescrivere ciò che vuole e nessuno
può impedirglielo.
In un siffatto regime i sacerdoti e i vescovi sono cittadini a tutti gli effetti,
nei diritti e nei doveri.
Possono promuovere partiti politici o aderirvi, possono diventare membri del
Parlamento e membri del governo. Chi potrebbe impedirlo per proprie e non sindacabili
ragioni sarebbe tutt´al più la stessa Chiesa ma non certo uno Stato
democratico che per definizione non può negare ad un cittadino diritti
universalmente riconosciuti.
Ricordo che don Luigi Sturzo fondò e diresse il Partito popolare che
ebbe molti seggi in Parlamento e importanti presenze nei governi, a finire con
il primo governo Mussolini. Tutto ciò avvenne tra il 1919 e il 1925,
cioè in un regime di assoluto separatismo tra lo Stato e la Chiesa.
Pongo ora una domanda a chi sostiene che i vescovi sono cittadini come tutti
gli altri e votano infatti alle elezioni: il vescovo Ruini, il vescovo Fisichella
e tanti altri come loro possono partecipare alle elezioni politiche e andare
in Parlamento? Possono entrare a far parte del governo e reggere un dicastero?
Ho consultato la vigente legge sull´incompatibilità ma non c´è
una sola parola che riguardi questo problema.
Dunque la riposta, in puro punto di diritto, è sì, Ruini e ciascuno
dei suoi colleghi, se volessero, potrebbero concorrere alle elezioni, essere
eletti, partecipare al governo.
Ma tutti sappiamo, a cominciare da loro stessi, che un fatto del genere ripugnerebbe
alla coscienza nazionale e quindi non lo fanno. Non lo fanno ma potrebbero.
C´è dunque un impedimento morale più forte del diritto di
cittadinanza. Qual è questo impedimento?
* * *
La Chiesa è portatrice di valori assoluti e di assolute verità
che le vengono dal suo corpo dottrinale dalla sua tradizione, dal suo pensiero
teologico. La sua struttura è gerarchica e culmina in un vertice che
ha poteri assoluti ancorati addirittura al dogma dell´infallibilità.
Ne segue che esiste una lampante incompatibilità sistemica tra un regime
democratico e una religione ancorata a valori assoluti e dogmaticamente istituzionalizzati.
I vescovi, ancorché cittadini italiani, sono vincolati all´obbedienza
alla loro gerarchia, nominati da un´apposita congregazione col beneplacito
del papa, vincolati a dogmi emanati dalle encicliche e dai Sinodi. Perciò
sono eterodiretti rispetto alle istituzioni italiane.
In più, operando in regime concordatario, fruiscono di benefici tutt´altro
che marginali. In queste condizioni affermare che i vescovi e il clero in generale
siano cittadini a pieno titolo è falso. Non lo sono. Possono votare ma
non possono farsi eleggere e partecipare a governi se non riducendosi allo stato
laicale. E tuttavia questa norma di tutta evidenza non figura nella vigente
legge sulle incompatibilità.
Questo ragionamento tende a dimostrare non solo che l´esercizio passivo
del diritto elettorale è precluso ai titolari delle diocesi ma, soprattutto,
a chiarire che esiste altresì un limite alle loro esternazioni.
Un vescovo concordatario non può esternare come un qualsiasi altro cittadino
poiché nel Concordato l´articolo 1 dichiara che lo Stato e la Chiesa
sono indipendenti e sovrani nelle rispettive competenze civili e religiose.
C´è anche una casistica di queste competenze per quanto riguarda
la Chiesa: dottrina della fede, etica, catechesi, carità, solidarismo.
Non figura la parola politica. E quindi la politica non rientra nelle competenze
della Chiesa.
Ma si dice ed è vero, l´etica ha a che fare con la politica. La
bioetica anche. Perciò la Chiesa può dire che il divorzio è
un male, che la fecondazione assistita è un male, che l´aborto
è un assassinio di massa, che i Pacs sono un male e spiegarne il perché
dal proprio punto di vista. Altri, di diverso avviso, forniranno ragioni contrapposte.
Questa è la democrazia. Ma qui si ferma il diritto della Chiesa ad esternare.
Se i suoi vescovi entrano nel cuore della politica (il che gli è precluso)
prescrivendo l´astensione dal voto in un referendum, indicando i modi
dell´articolato delle leggi, dichiarando l´incostituzionalità
di altre, censurando atti di giurisdizione come le intercettazioni telefoniche
disposte dalle Procure della Repubblica, facendo affiggere nelle chiese cartelloni
e spot per quanto riguarda la partecipazione o l´astensione dai referendum
e lasciandoli affissi anche nel giorno delle votazioni; in questi casi i titolari
delle diocesi si mettono fuori dal Concordato. Tanto varrebbe allora vederli
seduti sui banchi della Camera e del Senato a discutere direttamente e a votare
con i loro colleghi della politica.
Dov´è in tutto questo la religione? Dov´è la carità?
Dov´è la pietà. Chi decide se un bisogno ampiamente avvertito
sia soltanto un desiderio o abbia creato un diritto? Lo decide monsignor Fisichella?
* * *
Purtroppo sì, lo decide anche monsignor Fisichella poiché molti
politici ritengono, a torto o a ragione, che monsignor Fisichella orienti e
controlli una notevole quantità di elettori e quindi lo corteggiano a
gara, da destra e da sinistra. E monsignor Fisichella detta le sue condizioni
che spesso ottiene.
Monsignor Fisichella non fa nulla di illecito (salvo violare i principi del
Concordato) ma si comporta come un lobbista. Si comporta come Billè che
cerca di far pesare i voti dei commercianti sulle decisioni del governo; o come
Montezemolo, o come Pezzotta ed Epifani. Si comporta come il capo di un forte
gruppo di pressione, con la differenza che la Chiesa è cento volte più
forte di Billè, di Montezemolo e di Epifani perché svolge il suo
lavoro di lobby in nome del sentimento religioso invadendo a briglie sciolte
la sfera politica e arruolando in questa galoppata anche le truppe cammellate
degli "atei devoti" che usano la religione per rafforzare una loro
visione dello Stato forte, decisionista, autoritario. "Dio è con
noi" è la tentazione moderna del totalitarismo e al tempo stesso
della teocrazia.
Chi dovrebbe reagire in primissima linea a questa sciagurata tentazione dovrebbe
essere il laicato cattolico che invece è incomprensibilmente silente.
Per questa ragione sostengo che siamo in presenza di una questione cattolica:
salvo rare e oscillanti eccezioni il laicato cattolico sta assistendo alla sistematica
distruzione delle sue autonomie dentro e fuori dal perimetro religioso. Le Comunità
cattoliche, l´Azione cattolica, le Acli, le associazioni universitarie
e studentesche sembrano colpite da un sonno ipnotico. I grandi ordini religiosi
regolari tacciono, eppure avrebbero di che discutere e obiettare.
Abbiamo purtroppo realizzato parecchi primati negativi nel mondo in questi ultimi
anni. Aggiungeteci anche questo: siamo il solo paese dell´Occidente cristiano
nel quale è nata e cresce di giorno in giorno la questione cattolica.
Francamente non c´è da esserne orgogliosi per il paese dove nacque
cinque secoli fa la libera scienza e l´autonomia della coscienza individuale.
"De servo arbitrio" fu il motto di Lutero, ma ha passato le Alpi.
Oggi ha dimora Oltretevere, manipolato dai porporati della Cei. Sua Santità
è d´accordo con il suo Vicario?
Eugenio Scalfari
Fonte: la Repubblica, 30 settembre 2005
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