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95 anni fa moriva Costantino Arlìa, linguista calabrese. Il 2015 ricorrerà il primo centenario

Il 18 febbraio del 1915 moriva a Firenze il linguista e letterato calabrese Costantino Arlìa. Controverse la data e il luogo di nascita. Gli studi dello storico Rocco Liberti lo indicano nativo di Aiello Calabro, un paesino del cosentino, dove a lui è intitolato l'Istituto Comprensivo.
Dagli archivi parrocchiali e comunali dell'epoca si è potuto ricostruire che Costantino Arlìa, registrato inizialmente con il nome di Costantino Adriano, nacque il 23 agosto 1828 e fu battezzato il 24 dalla levatrice Grazia Casanova che lo aveva trovato nei pressi di una frazione della cittadina. Il trovatello Costantino Adriano (alias Arlìa) fu poi riconosciuto "per proprio figlio" dal padre naturale, il "cerusico" Bonaventura Arlìa di Amantea, solo nel 1836.
Di lui si parla nell'Enciclopedia Italiana Treccani e nel Dizionario Enciclopedico UTET, oltre che in "Gli Scrittori delle Calabrie", di Vito G. Galati, Firenze 1928; e nella "Bibliografia e Biografia calabra" di Francesco Morano.
Convinto purista, tra i più vigorosi sostenitori della toscanità della lingua, tanto da guadagnarsi l'appellativo di "puntiglioso linguaiolo", come lo ebbe a definire il Carducci, il letterato calabrese scrisse Il "Lessico dell'Infima e corrotta italianità", pubblicata a Milano per la prima volta nel 1877 (altre edizioni sono del 1881, 1890 e 1898) per i tipi della Casa Edizioni Paolo Carrara. Oltre a questa più conosciuta che scrisse assieme a Pietro Fanfani, è autore di altre opere aventi per tema la purezza linguistica. Ne ricordiamo qualcuna: Il "Dizionario bibliografico", pubblicato a Milano fra i manuali Hoepli nel 1892, che è una raccolta di locazioni e voci del linguaggio bibliografico; "Voci e maniere di lingua viva" (Milano, 1895); "Del linguaggio degli artigiani fiorentini" (ibid. 1876); "Filologia spicciola" (Firenze, 1889); "Passatempi filologici" (Milano, 1903). Tra i suoi studi filologici compaiono anche testi di Machiavelli, del Capperone, Borghini, Cecchi, Curzio da Marignola, Malatesti ecc.
Pubblicò, oltre ad alcune novelle, pure diverse raccolte di versi, originali e tradotti, tra le quali "Rose e viole", antologia di canti e leggende di gusto elegiaco, editi su giornali e strenne a Napoli prima del 1865.
Nel corso della sua attività filologica (fu membro autorevole dell'Accademia della Crusca) dimostrò sempre una certa predilezione per le indagini metodiche. "I suoi lavori - si legge sull'Enciclopedia Italiana Treccani -, a mano a mano che vanno perdendo il taglio e il gusto del saggio filologico, scoprono in lui il purista e la vocazione dello sperimentatore della lingua, del tenace ricercatore, dell'assiduo lettore. Alcuni scritti, infatti, scaturirono soltanto dal suo spirito di curioso polemista, stimolato persino dalla lettura di un giornale. La sua indagine però si fermò piuttosto in superficie, non riuscendo sempre a penetrare per intuito la nozione vera dei testi oltre le deprecate involuzioni stilistiche. Non fu mai un letterato di professione, ma per tutta la vita amò e studiò la letteratura con fervore e passione sempre giovanile".
Molti suoi manoscritti sono conservati ancora presso l'Istituto Lombardo dell'Accademia di Scienze e Lettere, nonostante che, prima di morire, divenuto oramai cieco, avesse ordinato che i suoi tanti manoscritti fossero dati alle fiamme. Presso la Biblioteca Marucelliana di Firenze - acquistato dalla libreria Lumachi - è conservato invece un carteggio (908 lettere comprese tra il 1871 e il 1905) ed altre lettere di Chiaro Chiari e di Pietro Fanfani, donate nel 1936 alla biblioteca dalla vedova.
Arlìa aveva iniziato gli studi nel Seminario di Tropea (della cui Diocesi Ajello faceva parte). In seguito, dopo una formazione come autodidatta si trasferisce a Napoli, dove si laurea in Giurisprudenza. È il 1861 quando entra in Magistratura come Procuratore del Re presso il Tribunale di Ivrea. Lavora poi presso il Ministero di Grazia e Giustizia a Torino. Motivi di salute lo inducono nel 1890 a dimettersi dall'incarico e a trasferirsi a Firenze dove si appassiona agli studi letterari e dove morirà.
Fra 5 anni, di questo letterato calabrese ricorrerà il primo centenario della morte. Il mondo della cultura e delle istituzioni pubbliche calabresi hanno tutto il tempo necessario per predisporre una commemorazione e qualche convegno per approfondire la sua figura di studioso e la sua opera di italianista. E, magari, ripubblicare qualche suo scritto.

 

Di seguito, alcune voci del "Lessico dell'infima e corrotta italianità"

SPORT
Lettore, non aggiungere né un o né un'a, perché non manca; la è la voce inglese che corrisponde alle nostre di Passatempo, Diporto, Divertimento, Sollazzo, Spasso, e simili, come quello della caccia, delle corse de' cavalli, ec. Se i nostri italobritanni e gazzettieri dicessero o scrivessero: Lo spasso della corsa de' cavalli - Il divertimento della caccia alla volpe, anzi che Lo sport... Ma via, parlar di quella gente è tempo perso. Ci sono in Italia alcuni giornali italiani, che non li può intendere se non chi sappia l'inglese e il francese, tanto sono essi gremiti di barbarismi e di parole e modi di quelle due lingue: High-life, Reporter, Reportage, Sport, Club, Yacht, Meat, Lunch, Toast e via di questo gusto. Delle francesi, poi... Povere scimmie!

GIORNALISMO
L'insieme dei giornali che si pubblicano in una nazione. Es.: Il giornalismo italiano non ha molta autorità; ed anche per l'arte di compilare i giornali: Pietro si è dato al giornalismo. Neologismi di uso universale, riprovati dal Tommaséo, il quale consigliò di usare Tutt'i giornali o semplicemente I giornali nel primo significato. Quanto al secondo nulla dice, ma forse avrebbe proposto Scrivere su, o per i giornali. - Ma voi, signor Fanfani, lo avete usato negli Scritti capricciosi, p. 249. - Sì, signore. Ma ella rammenti che altro è scrivere sopra un argomento qualunque, altro è ponderatamente esaminare l'origine, i significati e le proprietà di una voce.

ZUPPA
«Può scriversi anche Suppa, come oggi si pronunzia», dice l'Ugolini e non è vero niente, che Suppa è forma antica: Dante (Purg. XXXIII, 36 ):
Che vendetta di Dio non teme suppe
ed è più secondo la natura della lingua francese. Oh, a proposito; si noti che Zuppa per Minestra in genere è la Soupe de' sullodati Francesi. Per gli italiani la zuppa è quando nel vino o in altro liquore si tuffa un biscottino, un orliccio o un cantuccio di pane, una fettina di pesca, e quindi così intrisa si mangia.

 

19/02/2010
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